La Rivoluzione Liberale - anno I - n. 18 - 18 giugno 1922

~ivist:a Storica Se-tt:ima:n.a1e di I?olitioa ==============---=-;;T'"""-------=-===..,..---,=====;;;=================== Anno I. - N. 18 18 Giugno 1922 -------- Edita dalln --- Casa Editrice Energie Nuove fondata e diretta da PIERO GOBETTI TORINO - Via Venti Settembre, N. 60 - TORINO RUDnNRM~Hil • Per il 1922: L. 20 (pagabile in due quote fflJIJUIIHL , di L. 10) - Sostenitore L. 100 - Estero L. 30. IL BARETTI SUPPLEMENTO L T ERARIO MENSILE Non sl vende separatnmente UN NU:!MERO LIRE ------- (Conto Corrente Postale) o,~o SOMMAR I O: G. ANSALDO: La conrereoza di Genova. - ~f. PANTALEONI • P. G.: Uomini e Idee. - A:IITIGUELJ'O: Esperienza libere le. - ('. SPELLA!iZOll': Caillaux. L. EMERY M. L. • Postille. - Il. GIOVENALE: L'agricoltura piemontese VIII (Fine). La Conferenza di Genova Le arrabbiature a freddo del sig. Lloyd George erano amabili, perchè erano argute: donde taluno ha potuto compiacersi di immaginare un Lloyd George sempre buon compagnone, così com'egli amava comparire nelle sedt~te pubbliche o nelle riunioni della stampa, con la solita provvista di metafore (del resto assai porn scintillanti) e cii bons mots. Ma Lloyd George - ciò pare inverosimile - si arrabbiava anche sul serio, nelle riunioni private, nel club : e allora era assai poco amabile. Così, per esempio, in una riunione che fu tenuta al penultimo giorno della Conferenza, a Villa Spinola, con i diplomatici italiani e iugoslavi che non avevano concluso niente dopo aver discorso per un mese. Fu allora che Lloyd George disse chiaro e tondo a Schanzer, a Tosti, a Visconti Venosta, che « le domande italiane erano esagerate », che « era ora di definire questa curiosa faccenda » : insomma ricompensò co.n una inaspettata s.incerità quelle egregie persone, che per quaranta giorni gli avevano usato la cortesia di far finta di credere ai suoi mutevoli umori. E' vero che - immediatamente all'indoma. ni - egli mortificava gli iugoslavi con il discorso Stambulinsky, e carezzava gli italiani con una colazione di commiato al Mi. ramare, in cui pronunciò quel discorso del • muro romano», pieno di moine e di complimenti, che li fece andar tutti in visibilio, diplomatici e giornalisti. ha colazi □ n~ con Th □ mas, C'è un episodio, nella condotta di L. G. a Genova, che io non sono riuscito a valutare. Si tratta di una lunga e desolata conversazione ch'egli ebbe il sabato 13 maggio con Albert Thomas, segretario generale del Bureau International du Travail. Non so se quello eh' egli disse allora fosse l'espressione di UJ1 vero scoraggiamento, sia pure passeggero, o forse, più perfidamente, una circolare destinata ... alla publicità. . (Lloyd George doveva avere, quello stesso giorno, nel ·pomeriggio, quel colloquio con Barthou, in mi egli cedette sulle condizio.ni del lavoro all' Aja, e, sostanzialmente, liquidò la Conferenza). A Thomas, fra l'altro, egli. disse: " M10 buon amico, la Conferenza è fallita. L'Europa è incorreggibile e ingu.aribile: essa non vuole essere arrestata sulla strada della reazione. Tutti gli stati nuovi, che sono sorti dalla guerra, sono per la reazione sono dietro la Fra.ncia ». Qui Lloyd Georg~ fece un vero elenco delle sue delusioni, da cu.i risultava che l'Inghilterra si trovava sola, con l'Italia. « La mia azione alla Conferenza non è riuscita a niente : io pago il fio qui, e forse lo ripagherò in Inghilterra, di aver voluto spingere l'Europa verso sinistra. Ma vi dice, formalmente che, se si co.ntinua a sabotare la Conferenza fino all'ultimo io seno deciso a lasciare Genov:a solo dopo u~a solenne vendetta. Io voglio pronunciare all'ultima seduta un grn;3-dediscorso : an Europe speech, in cm diro veramente come sono andate le cose e proclamerò il fallime.nto della conferenza e le c?lpe dei responsabili. Voglio ùifer.dere 11 ~o _nomee ia mia posizione hn dnve mi ,; possibile e con tutta energia. Jv1iocaro Thomas, sapete qual'è il nostro vero torto? Che rroi non abbiamo più venti anni. Sol~nto i g_iovani di venti a.nni possono sperare di assistere alla fiontura di una Europa di sinistra, di potervi partecipare e di poterne pro- . fittare ! ». Tutte queste frasi : • Europa di destra », • Europa di sinistra • sono molto lloydgeorgiane, e dànno una idea della sehematicità da gioco di scacchi in cui Lloyd George riduce, per suo uso e co.nsumo, tutta la crisi europea. I canonicali. Ma può anche darsi che tutto il d.iscorsetto fosse destinato ad impressionare Thom.as, la cui azione, alla Conferenza, si può paragopare a quella di un amplificatore telefonico : ma di un amplificatore applicato ad una quantità di apparecchi. L'argomento usato da Lloyd George era, se mai, veramente ad hominem. « Solo i giovani di venti anni • !. .. Immaginarsi la faccia"di Alberto Thomas, che, per quanto non abbia più vent'anni, spera di profittare - e come! - di una Francia di sinistra ... Alberto Thomas è un capolavoro. Bisognava ascoltarlo, nella splendida sa.la del palazzo Mackenzie, alla Meridiana, mentre spiegava perchè egli aveva creduto opportuno di assistere davvicino alla Conferenza! Con quale tatto ·egli si scusava di a-ver accettato l'offerta di una splendida sede di lavoro (?); con quale tempestività gli si inumidivano gli oc(hi al ricordo del suo collaboratore italiano Dott. Pardo, morto- in Russia; con qm.!e compunzione parlava della documentazione sulla Russia che il Bureau International metteva a disposizione dei diplomatici : con qual brio si faceva rimproverare dal suo segretario Palma di Castiglione per la sua cattiva pronuncia italiana! Egli è il francese che sa meglio sedurre gli italiani : se le intese cordiali con la Francia hanno probabilità di ricomparire, è Thomas che le varerà, una volta rientrato .nella vita politica del suo paese, e diventato Presidente del Consiglio, com'egli aspira a diventare. Agli italiani poi Thomas incontra, perchè fra la barba, gli occhialoni e il vestito alla buona credono che egli sia diversissimo dalla gente del Quai d'Orsay, che mette soggezione per la sua inimitabile grand'aire diplomatica. (Carteron, Poncet, ecc.). Ma Thomas, da latino bonaccione si trasforma spesso in ga.i.Zois a doppio taglio ... a tavola. Thomas, a Genova, diede dei pranzi. Pranzi ai pezzi grossi della Confederazione del Lavoro, ma pranzi : e pranzi solidi. E a tavola, fra la bonne chère e la conversazione arguta, Thomas prende dei saporiti anticipQ sulle soddisfazioni che un giorno egli vuol cogliere in Rue de Grenelle o al Bouleva1·d Sai.nt-Germain. Comunque, per adesso Thom.as ha trovato il suo posto. E con lui lo hanno trovato altri uomini di indiscusso valore e di qualche avvenire politico, come il ministro plenipotenziario Attolico. Attolico (più propriamente: Gr. Uff. Bernardo Attolico, « Sotto-Segretario Genera1e alla Società delle Nazioni, incaricato delle questioni di transito» : testuale!) aveva impQantato .non so q11aleufficio della Lega delle Nazioni nel Palazzo dell'Università, e frequentava con discrezione e discernimento gli ambienti della Confe1·enza. Questo antico professore di università è un finissimo osservatore, e dev'essere un arguto critico: dico dev'essere, perchè da lui c'è ben poco da cavare, come giudizi. Ma fa piacere incontrare, .nellie anticamere delle riunioni internazionali, la lunga figura occhialuta di Attolico, leggermente impacciata nel tratto e nella pronuncia, di quell'impaccio tutto proprio dei meridionali vissuti a lungo nei paesi anglosassoni, e che sono riusciti a ricoprirsi di una ver.nice di impassibilità, ma soltanto di lilla vernice. E fa piacere udirlo dire, riposato e tranquillo: « Ah, io sono qui del tutto a coté ... La nostra Lega non è u.flì.cialrnente rappresentata ... » oppure: « La nostra Lega non ha che uua semplice rappresentanza tecnica ... ». In questi momenti si ha u.na idea assai precisa di ciò che è la Lega delle azioru. « In stuol d'amici numerato e casto fra parco e delicato al desco assido e la splendida turba e il va1w fasto lieto derido ». Parco, dicono i maligni, quel desco non lo è tanto. Infatti molto spesso si lanciano insinuazioni poco benevole contro le prebende di cui godono Thomas, Attolico e i signori della Società delle Nazioni. Io credo che questi sono milioni ibenissimo spesi. Nel modo bestiale con cui si deve svolgere l'attività politica, oggi è provvidenziale che ci siano delle sinecure dignitosissime e legalissime, da poterle donare a uomini come Thomas o Attolico, i quali, per una ragione o per l'altra, vogliono per qualche anno sottrarsi alla corrosione della vita politica attiva. Tanti secoli fa, agli uomini di valore che si trovavano in questa condizione si usava dar titolo e piatto cardinalizio : oggi si dà un impiego presso la Società delle I azioni, o se nè darà uno presso quell'altra grande fondazione che sarà il Consorzio Internazionale per la Russia. Gli espedienti sono sempre gli stessi. Ma intanto, S. E. Attolico - che, tra parentesi, ha lavorato di schiena per il passato - viaggia, conosce uomini e cose, è indrpwdente e ben pagato : condizioni idea- 'i per diventare un uomo politico stile inglese. Da qui a qualche anno sarà colpe- ,;ole cli negligenra grave chi, essendo alla Co.nsulta, non si ricorderà di lui: cioè di un uomo con una forte esperienza di affari internazionali, e non logoro dalle attese romane. E con questi possibili risultati, volete che io ripeta le accuse contro i canonicati? Francia aulica e accademica. Alberto Thomas, nonostante la sua posizione ·inofficiel ed eterndossa, era certo un po' la lancia spezzata della delegazio.ne francese, che per formazione e pe1· sistema, era la più aulica, la più procedurale, la meno flessibili fra le grandi delegazioni. Ma era anche la più chic. Due subalterni davano il tono al Savoy e mantenevano in briglia giovani addetti, giornalisti francesi, dattilografe e forestieri : erano M. Carteron, nominalmente Chargé des Services interieurs in effetto capo del Cerimoniale, e Poncet, capo delJ'Ufficio stampa. Soltanto pochi hanno sospettato tutta l'influenza di questi due signori : specialmente del signor Carteron, accompagnatore cli Briand a Cannes, di Barthou a Genova, con un incarico solo appare.ntemente fonnale. Ma se la delegazione Francese ha resistito alla crisi interna che la minava, se ai forestieri essa è apparsa sempre senza incrinature di opinioni, se nulla o quasi nulla si è saputo fuori delle loro gravi discussioni fra i delegati; delle ribellioni rabbiose di Barthou contro Poincaré, delle opinioni frondiste di Seidoux, molto si de\"e al signor Carteron, che se ne stava sempre nell' lzall del Savoy come in un salotto, alto biondo, tirato a pi0mbo, cortese ma a distanza con gli avversari malizioni, concedendo il « privilegio della bella ,signora" agli <llilici arrabbiati, sventando interviste e soffocando indiscrezioni. Tutta la delegazione gli era intonata. M. Réné Massigli, già Segretario Generale della Conferenza degli Ambasciatori, compilava i documenti ufficiali che poi erano letti nel club, dando ad essi una forma lettera.ria addirittura classicheggiante, non priva cli di. stinzione e di significato frammezzo a tutte le affrettate banalità scritte e dette, ma sopratutto dette, nel club. Gli esperti davano lezioni di bel portamento, e ostentavano una « fiducia ricostruttrice » a tutta prava, evidentemente dietro uua vera parola d'ordine venuta dall'alto e disciplinatamente segu,ita. Più di una delle sedute delle Sottocommissioni fu una vera accademia diretta dai francesi, che facevano finta di credere alla somma importanza di una miserabile raccomandazi{)Jle. Per esempio, nella Sottocommissione per i trasporti, sezione trasporti di terra, si durò due ore e mezza a discutere e a votare una cretjnerill. di questo genere : • che se le ferro-uie di uno s lato so,w in cattive condizioni /.o stato confinante può concedere un prestit; per migliorarle: ma che, se /.o crede, può anche accertarsi con una inchiesta, se le condizioni so,w realmente cattive: sempre, s'intende, d'accordo con /.o stato -<Jicino ». Questa proposizione_ um0ristica (del resto, non più u-monst1ca d1 tutte le altre deliberazioni delle Commissioni economiche) suscitò le proteste v1vac1 del delegato italiano (o;n. Canepa), il quale giustamente o.sservò che non c'era spesa a riunire unz. conferenza internazionale per votare simili banalità. lfa ii rappresentante france.se Du Castel rispose subito con un bel discorsetto, facendo presente « il prestigio enorm3 che una tale raccomandazione avrebbe ricevuto da!la sanzione della Conferenza!». I francesi aveva;no imparato la lezrnne perfettamente, e sorpassavano gli mglesi quando si trattava di recitarla, unendo alla fraseoiogia ricostruttrice di marca anglo sassone, la compostezza aulica di mar. ca francese. La delegazione francese era anche -- si noti - la più accademica di tutte. \! a >n Francia, pare, i professori di uni,·ersità seno person_edi spirito. Franç:ois Poncet è professore d1 università, Massicrli è un normalien Camerlinck è un profes~ore di università, Siegfried e Fromageot, rappresentanti dei Ministero degli Affari Esteri, erano universitari anch'essi ; per non contare poi la brillantissima équipe di uni,versitar:i che sotto la discreta guida di M. Francois Por:'cet si erano divisi il compito de!l~ informazioni alla stampa straniera : Eisenmann Rivet Hazard, Hesnard, Leger, Cremieu_~. ~ell~ delegazione tedesca l'unico effettivo professore ... faceva l'interprete! Viceversa, come vedremo, !a delegazione tedesca aveva la sua venatu..-'a speciaìe nei delegati-giornalisti. Basata su questo reclutamento mezzo diplomatico-di-carriera e mezzo universitario con evidente postergazione degli uomini di affari, degli alti burocratici e dei giornalisti, la delegazione francese, nel funzionamento dei subalterni, apparve ad ogni osservatore spregiudicato la più composta, la più aliena da dietroscena affaristici, la più pronta a rispondere al minimo cenno dei capi. Non so se tutte queste siano qualità politiche-ricostruttrici; ma so che qualche ora passata al Sa'lJOy dava un'idea di quel complesso di qualità che i francesi indicano con la locuzione : « a-uoir du era.ne» : dav:i. un'idea di quello che può essere « le crane » dipiomatico. Isolata in mezzo alla Conferenza, €irconda. ta da osservatori acuti e ostili, la delegazione francese non conta - neppure da parte del personale in sott'ordine - nè una parola disgraziata, nè una scorrettezza, nè una gaffe, nè uua esitazione, nè la manifestazione di un dissenso. Nei pTim.i gi~ della Conferenza, alcuni giornalisti berlinesi, basandosi su u.n avviso che parlava di « lteures de réception pour M.M. /es jouma·lisles de langue allemande », si azzardarono cl.i mettere piede al Sa:voy: ma l'accoglienza dei due gran maestri François Poncet e Carteron no11 lasciò loro dubbio che l'avviso si indirizzava ... agli svizzeri e agli austriaci : e come per una parola d'ordine, i' rapporti furono pressochè inten-otti con tutti i gior:nalisti tedeschi : intendo dire anche i consueti rapporti cl.i cameratismo, che i tedeschi sarebbero stati volenterosissimi di iniziare. Se lo stile, nelle azioni umane, ha un valore, la delega-

68 LA RIVOLUZIONE LIBERALE zione francese - compresa la stampa relativa, e anche la stampa di oppos.izione - era la prima e la più bella delegazione della Co.nferenza. 3arthau e Pertinax. Barthou ei-a del resto il-primo « sorvegliato speciale» nell'ambiente della delegazione. Se ne temeva la impulsività che avrebbe anche potuto tradursi in adesioui e accondiscendenze pro-Conferenza.. Per dissimulare il suo disagio, in talune riuuioni pronunziava con tono vibratissimo le dichiarazioni più innocenti. Nell'ultima seduta pnblica egli pronunciò con tale gallica prosopopea le parole di pacifica e, in fondo, conciliativa risposta a Ratbenau, che V\iirth, il quale non comprende il francese, chiese tutto allarmato a un addetto cosa stava succedendo, e se per caso la Conferenza non finisse a male parole. L'in-itazio.ne di Bartbou contro Poincaré era profonda: e convien dire che Poincaré non gli risparmiava reprimende ed addirittura mortificazioni. Alle 5 o alle 6 del matt1110, Bartbou si sentiva chiedere conto da Parigi di docrunenti presentati la sera precedente alla Segreteria Generale della Conferenza, e non ancora trasmessi in forma ufficiale aIle varie ·delegazioni: questo buongiorno non è il più adatto per conferire un felice umore. Di più, a Barthou dispiacevano vivamente ali attacchi sui giornali, anche italiani : e, :bagliando completamente tattica, più volte (come in occasione della sua gita a Parigi) fece, per mezzo di giornalisti fra.ncesi meno legati a François Poncet, intercedere per qualche complimento. Tattica completamente sbagliata, percbè i complimenti dei giornali italiani erano altrettanti capi di accusa per lui. E l'accusatore publico, 'per Bartbou, era Pert-inax. Ho potuto assistere una volta a un dialogo fra Barthou e un gruppo di giornalisti francesiJ fra cui Pertinax. Non dimenticherò l'aria provocante di quella facca da bull-dogg di Pertinax, uomo dalle mascelle quadrate e dal cattivo sguardo, e tutte le prevenienze appena dissimulate di Bartbou per l'oracolo dell'Echo de Paris. Pertinax era effettivamente temuto alla delegazione francese : e molte delle sue informazioni pa.rticolari, delle boutades da lui riferite, delle botte e risposte di cui egli si valeva nei resoconti delle sedute più riservate, erano l'runile omaggio di Barthou o di qualche altro delegato, offerte a questo individuo • dal catfrvo sguardo », e sostanzialmente il frutto del ricatto continuato in danno dei diplomatici. Nessun altro giornalista francese ba informazioni di prima mano come questo signore, convinto di mendacio. Egli le drammatizza, cioè le sa far valere : ma sempre, nel suo papier, ci sono gli spunti da lui solo conosciuti, e predati della sua spregiudicatezza e delle sue aspre critiche. Il fenomeno Pertinax è interessante per conoscere usi e costumi della stampa francoitaliana. La figura del giornalista dei giorna. li d'ordine anzi nazionalistoidi : su cui aleg. giano sos~tti di sovvenzioni Governative ... o Consultive: e che lungi per questo dal servire docilmente il pagatore, si fa temere dal personale diplomatico, dai Ministri e dai delegati, ba anche da noi qualche bellissimo campione. E siccome, per ragioni ovvie, non posso fare nomi, me la piglierò un po' con !'on. Sforza: il quale fu il primo nostro ministro che avrebbe potuto evitare il ridicolo che la Consulta debba pagare i critici dei ministri, e i telegrammi stroncatori s~<liti dalle riunioni inter;nazionali; e non lo kce : non !o fece per quella sua strafottenza mezza da toscana.ccio e mezza da grand se,gn.eur che di queste cosaccie se ne frega. L' onorevole Schaw.-er, lui non è proprio il tipo da fare piazza pulita: non parliamo dell'on. Tosti soLtosegretario, che verso i Pertinax nostrani ha addirittura una specie di timore reverenziale. Ma torniamo a Barthou. he banhamme Calrat. :'.\ell'ambiente del Savoy, la stampa italiana ci bazzicava poco : et poiir cause. Paul Hazard, addetto ai giornalisti italiani, e il su.o successore non facevano che lamentare l'assenteismo quasi completo delle persone da •informare"· Finchè, l'ultimo giorno, Barthou decidette di prendere congedo con un ricevimento offerto ai giornalisti italiani. Anche questo ricevimento falll. Sotto gli occhi indagatori di M.M. Poncet e Carteron si intrufolò nel salone del Savoy il fiore del cafonismo conferenziale e stampaiolo. Barthou pronunciò un discorso ass,ai sciocco, coi soliti ritornelli dell'amore per l'Italia: ma la buona educazione più elemf:ntare impo-neva di starlo ad ascoltare. Invece ci fu un tizio che cominciò ad approvare, gravemente, col capo: un altro tizio, che aveva già dato saggi cospicui di villaneria, replicò al primo, mentre il ministro parlava : «Ma la smetta! Non mi pare che in questo discorso ci sia tanlo da applaudire! ... » Il povero Barthou fu il primo a ripigliare fiato dopo questo récord della faccia rotta, e volgendosi gentilmente ai due interruttori, disse:« Vous comprénez, Messieurs, que nous ne sommes pas ici a Palais Bourbon, je ne peux pas répondre à des polemiques » : e tirò via, con gran sollievo di M. Carteron, che aveva per un minuto temuto uno scatto di Bartl1ou. Quando, pochi minuti dopo, l'incidente fu riferito a Colrat, l'altro delegato francese, qnesti, col più amabile dei suoi sorrisi, romen tò la risposta di Barhtou così : « On voit bie n, qiie la failùe de la Conf èrence lui a délendus !es nerfs ». Botta che coronò degnamente tutta una serie di motti di spirito cui M. Colrat ebbe cura di infiorare i « lavori • della Conferenza. Il signor Colrat, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ,aveva preso il suo partito fin dal primo giorno della Conferenza. Egli e Ban-ère rappresentarono la estrema destra della Delegazione : ma mentre Barrère, in:cartapecorito e arido, mandava avanti il lavoro di sabotaggio con mala grazia, Colrat rappresentava veramente, di fronte alla mitologia confereozi'.lle e ricostruttrice, le bonhomme Ma.rgarilis di Ba]7,ac. Quando, bien repu de barta.velles et de -vin de Bourgogne se ne usciva verso le due dal Savoy per avviarsi ai lavori. della commissione economica, lo stecchino fra le labbra, godendosi il sole, era assai amichevole e alla mano, e parlava volentieri. «Ne touchez pas celle queslion la, ,,w,isieu.r : q-uant à moi, j e récons tnàs l'Eii.rope (e qui boccheggiava comicamente) et je n'en sai.s rien. Vou.s .voyez: j'ai tra.vaillé de ce matin à dix heu.re jusqu'à niid·i a réconstn,ir 1.'Europe (altro vario boccheggiamento) et je vais maintenant encou à celte lo·urde tache ». Dopo che avevate ascoltato questi frizzi del signor Colrat, voi eravate fixés sulle sne opinioni. Tutti i giorni., il « comunicato Colrat J> faceva il giro di circoli discreti, e dei giornalisti francesi. Sua, per esempio, la definizione di Cicerio•: « Il me pa.ra-it un pion de col/.ège, maltraité par !es cmnara.des » ; u.na definizione che esaurisce tutta la posizione e tutta l'azione del delegato russo alla Conferenza. Ed ancora suo il motto sintetico della situazione, quando Lloyd George si an-abat- .tava per far ;s,1enirePoincaré a Genova: « Oh oui., je le cornprends bien : après nous a-uofr cu/.bertés nous, il voudrait c-ulbertér aussi Poin.ca.ré ». E tanti altri, che non ricordo o che sarebbe ozioso aggiungere. Io penso che nel bonhomme Colrat Lloyd George abbia avuto, in Genova, il suo più ostinato e più forte avversario. Colrat riusciva a nascondere tutto il V11otodella condotta francese, tutta la meschinità della paura, tutte le miserie del misantropismo francese, tutta l'aura antipatica che esalava da ogni telegramma di Poincaré. Per lui, il fa]_ limento della Conferenza è stato qualche cosa &isicuro, fin dal primo giorno : e, comunque andassero le cose, egli era tanto saldo nel suo com--incimento, che riusciva a diffonderlo attorno a sè, senza lunghi discorsi, col prestigio di un buon se.oso apparentemente terra terra, e con l'arma di una arguzia bonaria e di buona lega. (Continua.). GIOVANNI ANSALDO. UOMINI E ID E E PR.j'iTJ!.ùEOf-l.I. Roma, 10 giugno 1922. Egregio Signore, Su « La Rivoluzione Liberale» richiama la mia attenzione la Sua di maggio con la qLtalemi 1·i11grazia per « l'autorevole adesione », per il a: c01·• diate appoggio », cosa questa dimostrataLe con l'aYer , trattenuto le copie della Loro Rivista Settimanale >1. Lei è lieto di potermi , iscrivere tra gli abbonati" e di a: annoverarmi tra gli amici del Suo lavoro». E mi invita a mandarle L. 20. Io penso che L. 20, in questo caso, mi dà1rno il diritto cli rispondere alle varie cosine che 1~1la mi scrive. In prima linea devo dirle che non mi sono accorto dell'arriYo de11.aSua « Rivoluzi011e Liberale,. Xon ho il tempo per stare attento a tutto quel che mi giunge per posta. Cercando tra le carte non ancora cestinate ho trovato il n. 4 giugno e<l ho letto le cinque colonne e mezza di Suckert., che 1ni sono riuscite indigeste come un chilo di pane K. Poi ho visto un primo preposto a un articolo sui u Lineamenti teorici introdt1ttivi "A del problema militare. Lei non può immaginare il mio sgomento: una Il introduzione .11, e «teorica-,, per giunta, e cli soli {( linean1enti 11 : un primo al qt1.:'llefarà seguito, per lo meno, un secondo! 1',1a,caro Signore, neanche se Lei regala a mc 20 lire, anzicbt volerle da mc, ho tempo, trovo piacere, ricavo un profitto intellettuale se leggo consimile roba. Proprio l'A. ha un nome infelicissimo! Stia 2ttento a 11011 perdere la sua i ,, in una polemica. ;Ifa, poi de"o dirle anche questo: Dalla Sua lettera vedo che sono collaboratori suoi Salvemini, ~1issiro1i, Prezzolini ! Ed ~ quanto hasta pcrchè io non vog1ia stare dove stanno loro, co1laborare dove collaborauo loro, le:ggere ciò che scriv0110questi messeri. cl t; E' da un pezzo cbe ci conosciamo, essi ed io, e che ci siamo sempre trovati in campi opposti. E ci siamo detti quello che avevamo da dirci. Le accludo L. 20 a patto di 11011 ricevere più e: La Ri\·oluziouc Liberale» e Le interdico nel modo più formale di spacciarmi presso altri co~ me sostenitore 1 aderente o collaboratore. Osse4u1. l\1. PANTALEONI. Il prof. M. Pautaleoni è servito. Interdirci ne/. modo più formate di spacciarlo, ecc., è cosa inesatta perchè si interdice solo audan<lo contro un desiderio o un proposito altrui e noi no11abbiamo mai desiderato spacciare l\'I. P. come « sostenitore, aderente e collaboratore » non essendo usi a spacci siffatti. Dobbiamo, per appagare le fantasie di ì\1. Pautaleoni e: spacciarlo presso altri » come non collaboratore: e la pubblicazione della sua lettera lo soddisfa ad usura dimostrando tale sua qualità esplicitamente ed implicitamente: il suo stile non corrisponde infatti a quella misura che qui si vagheggia. Il professor Pantaleoni scherza: ma non vorremmo poi che ci fosse troppa involontaria ingenuità quando egli pro11tt11cia i suoi giudizi e laucia i suoi motti. Il professore Pantaleoni si sdegna perchè s'avvede di avere verso cli noi un debito di venti lire: pagandolo si· vuol sfogare: mentre dovrebbe incolpare sè stesso che è cattivo amministratore e non trae profitto dagli insegnamenti economici che pur rn impartendo da tanti anni. Non vogliamo insistere su questi allegri fatti personali. Ci basti notare il caso Pantaleoni che ha il suo posto nella storia dei costumi. Egli \'a diventando il dog1natico di sè stesso: allo studio cd all'esame s'ostina a sostituire uno scherno buffo e una leggerezza che sono a doppio taglio. E' credibile che la posta nou gli porti pitì nulla di nuovo. Egli dovrebbe essere un docente nniYersitario, un educatore: ma 11011 ha più nulla da imparare : tiene Je sue caselle pronte e ciò che non può intendere vien ri(erito al ·pane J{. Fuori cli Vita. Italiana e del Patto cli Loudra si trovano soltanto esecrabili ·messeri come Salvemini, J\1issiroli, Prezzolini ! E con questi messeri egli non mantiene discordia d'idee, ma la rigidezza intransigente della divinità colta in fallo, della debolezza ingenerosa. Per nostra pace, i modelli di ca.ratte.renon sono tutti come M. Pantakoni e perciò noi ne possiamo parlare serenamente e metterlo sin d'ora al suo posto nella storia : le sue nuove prose umoristiche, gli atteggiamenti bizzosi e spiritosi non ci faranno dimenticare il A1a.nuale d.i econontia pura e gli Scritt-i vari d.i econo·mia. Egli può ben scialacquare e divertirsi e perdersi in cose vane: nel 1910 il suo bilancio si chiudeva con fortissimo avanw. O'R.f,ll'{Uj'iZIO. Parlare con D'Aragona, Baldesi, Cicerin, Sturzo - annunciare che si va verso i] socialismo di Stato e concedere la sola intervista ufficiale chiarificatrice al Corrieredella Sera - parlare con fraccaroliano spirito e leggerezza di Cicerin: ecco tutti i numeri per sembrare in Italia un grande politico. Gli italiani pensano sempre il politico molto viciuo al commediante. Non per nulla amano il Conte di Cavour nel... Tessitore. Gabriele D'Annunzio adora tra i metodi d 'indagine l'inchiesta diretta. i\1a 1'intende in modo assai cw·ioso: u: Per mezzo di questi colloqui rigorosi io ora conosca cli tutto il movimento operaio e marina.i-oe contadino, assai più di quanto abbia appreso da letture faticose ed infide. E' risparmio quest'occhio che troppo presto si stanca e s'appanna , 1 La beffa al « buon dantista » D'Aragona non pote,·a essere più arguta nè più meritata. Ma che cosa crede cli conoscere G. D. del movin1ento operaio? D'Aragona e Baldesi, vil]a.11 rifatti, conoscono il movimento operaio come i contabili conoscono l'industria, come il tipografo conosce le poesie che stampa. « lo parlo ai m.iei operai nel mio giardiuo. Li faccio sedere. Io rimango in piedi». C. D. ragiona da perfetto schiavista. Sa eSsere umile e de·mocralico, 1ua a patto cli poter subito osservare: - Vedete come sono 1unile, come vi degno della mia confidenza? E sono Gabriele D'Anutmzio ! La 111e11te cli G. D. è rudimentale; non gli è clat.ocomprendere nuJla della realtà politica. Per Jui lo Stato di Fiume può trattare con la Russia dei Soviet - lo Statuto della Reggenza è il comunismo - anelare coi comunisti non esclude che si possa andare con Baldesi. - E' in ciò popolano: e perchè 11011 capisce, perchè si [erma alle apparenze e alle idee gmssolm1e perciò è popolare. Fu politico nel '15 quando la politica si confondeva col palrioUismo. Oggi del mo\·i· mento sociale i11lcndc una parola: pacificazione e non capisce che anche per 1·ealizzare la retorica questa volta occorre diplomazia. Jl Senatore Albertini, cou la consueta pnicle11za, ha saputo 11eutralizzare l'amena letteratura d'annunziana e meulrc gli avYenturicri e i disoccupati inttllc:ttu.ali si attendevano un proclama del Comandante nelle Battaglie Sindacali o un articolo di fondo 11cll 1/l-va11ti! lo ha messo al suo posto e gli ha dedicato quattro colonne: m.a. nella terza pagina al posto della varietà e della \ettcralura. Ti: ha m.andato Simoni, non Uorgesi; nè Emmanuel ad intervistarlo. p. g. Espetrienza libettale Lo spazio tiranno ci ha impedito di mettere in luce come si doveYa l'importanza della lettera de-l Grnppo di Studenti uni?Jersitaridel Collegio Borr01neo che ci è riuscita profondamente cara. E' un esempio che si può bene. additare a tutti gli avanguardisti che buffoneggiano per le Uruversità italiane. L 1Italia nuo,•a verrà dal la·voro e dalla disciplina di questi gruppi silenziosi, che si 1naturano severamente sdegnando le ch1acch1ere e o-li entusiasmi faciloui. Saremo ben lieti di collaborare a questi sforzi isolati : anche La Rivolu.zi.one I.iberal.e è nata da un processo simile e desidera che giovani come questi dell'Università di Pavia le portino 11 loro contributo di studio. Ci scrive un amico che la lettera di Un ·u:nilario 11 è im.porta.n.tissim.a.;in-volge t·u.tta la. ragione e il ·modo di essere di Rivoluzione Liberale. 1vla si potrebbe ·ribattere che la s,,,periorità di R. L. su UNI11\ è a.ppu.nlo nella. 1naggiore « 1t.nità » di indirizzo fi.losofico(idea/.ismo)e poUtico (liberali1no) : lJinferiorità è nella scarsità di studi 1nuni,.. ti. di doc1t.m_entazionestatistica originale, che erano il pregio del settim.anale Salvern.inia.no, e nell'abuso dell'argomentazione e del gergo filosofico che può degenerare - nei gio~uanipedissequi - in retorica filosofica, equivalente alla retorica unianistica del. '48 ali.a retorica scientifica dell'8o e così via , . Il problema posto dai nostri due collaboratori è veramente il problema centrale del metodo e della tattica della R. L. Ma non vede Un Unitario che l'ideale nostro di autonomia e di operosa iniziativa è una vera affermazione di superiore giustizia? Ce1to la nostra giustizia è assai cli v~rs~ da11apigra astrattezza democratica e perciò 11011 può avere la virtù demagogica dc1le predicazioni al popolo dei vari cianciatori me&- sianici. :Ma il nostro compito dichiarato 1Jon è appunto la formazione di una classe politica su nuove basi di onestà culturale e di organicità storica? La Rivoluzione Liberale non: è L'Unità. L'Unità ebbe per nove anni un compito tecnico preciso che ha assolto mirabilmente. L'Unità era la rivista de, problemi della ?Jita italiana. Sul problema della burocrazia, del Mezzogiorno, del protezionisnio doganale, della scuola, sulla questione adriatica) L)Unità ha dato una coscienza (più che una inforrnazio,ne)agli italiani. E' un compito che bisogna continuare, ma non è più il compito essenziale. Salvemini stesso all'ora del congedo affermava che u in questo campo L'Unità ba ben .poco da dire, ,che non abbia già detto negli anni passati :&. Il patrimonio ideale dell'Unità si sta divulgando: i partiti 1 i giornali se lo assimilano: c'è tra la cultura tecnica politica di dieci anni fa e quella odierna una differenza conf01i.ante, e u::i produrla l'Unità ebbe la sua parte. Oggi gli unitari seri vano nel Corriere della Sera, nel Lavoro, nel Secolo, nel 1vlondo, nel Popolo Rom.ano, nel Resto del Carlino, ecc. ecc., e cercano di informare questi giornali del loro spirito e del loro metodo. E' sorta per opera cli Bruccoleri 1 Tajani, ecc.1 una rivista tecnica, quasi arida ma utile e precisa, che riproduce il sottotitolo del giornale salveminiano e ne ripete gli argomenti. Don Sturzo è egli stesso un divulgatore del problemismo salveminiano. Ora pare a noi che questa stessa diffusione e smisurata fecondità che naturalmente altera le linee più pure del lavoro di Salvemini, indichi la debolezza del giornale che tanto ci è· stato caro e necessario. La prevedeYa oscuramente Sah·emiui in una delle sue ultime postille quando scriveva « forse il credo 1norale implicito iu tutto il nostro lavoro ha il difetto di essere troppo implicito». L'autocritica era approssimativa, ma svelava una giusta inquietudine: il lavoro di Salvemiui, formidabilmente organico nel suo spirito - e ne è prova la sua eroica coerenza che resta un esempio unico in questo ventennio - perdeva parte della su.a unità e frantumava il suo ardore nella considerazione separata dei vari pro· blemi, che 11011 erano nulla scissi dallo spirito e dal metodo che li determinava. Le particolari soluzioni di Sah-emini poterono essere accettate da Giolitti e dai popolari sen7..a che si avesse il miglioramento sperato nella vita italian~. La Ri?JohizioneUberale è preoccupata det problem:i, 1ua più del problema della vita italiana. Pubblica studi cli tecnica pratica: !)agricoltura piemontese di Giovenale, le note su.ila burocrazia cli Monti, le ricerche di Corbino, cli Slolfi, di Bauer. Avrà saggi di Einaudi, di Prato, cli Borgatla. I\1a questa tecnica pratica deve essere rinnornta nello studio del problema stesso della azione. :Kon dalle affermazioni teoriche che L'Unità rimproverava a Volontà, ma dall'esame clc:lla realtà storica, dallo studio degli uomini, delle tradizioni, delle forze contemporanee si avrà I 'educazione delle nuo\·e classi dirigenti. 11 realismo politico non può consistere per noi 11elle astratte. professioni ideali, e neanche nel1a mera tecnica problemistica. 11nostro problemismo deYe trovare il suo posto in una dsione integrale della storia che si fa. In questa idea possono la" vorare insieme, a un solo organismo ideale Salvemini ed Rinaudi, Missiroli e Prezr.olini. ANTIGUP.I.FO.

CAILLAUX Giuseppe Caillau.x, deputato miuistro Presidente del Consiglio, finanziere,' accusato davanti all'Alta Corte di giuslizia, è mia delle figure più notevoli della Fraucia contemporanea. Conlro di lui si è scateuata, da anni, la furia delle passioni partigiane. Durante la guerra, si udirono al suo indirizzo accuse disonorevoli. Poi fu arreslato, riucliiuso in carcere tra assassini e m.alfattori comuni, sorvegliato continuamente, sottoposto alla più torturante e umiliante inquisizione. Il suo nome fu avvicinato a quelli di Dolo pascià e <li Lenoir, entrambi affidati al carnefice come re.i di commercio con il nemico. Fu coudaunato, <ilfiue, dal Seuato riunito in Alta Corte, mercè uno stratagemma dell'ultima ora, di cui è sempre dubbia Ja legalità. Questa lunga e dolorosa avventura è narrata dallo stesso Caillaux, iu un volume di receute pubblicazione: Mes p,isons (1), nel quale le accuse che fonnarono oggetto della duplice istruttoria e del pubblico giudizio, sono accuratamente esaminate e confutate. L'opposizione a Giuseppe Caillaux non si è manifestata, in Francia, nelle sue forme più acute, solo <lopo 1'iuizio della guerra mondiale. F..ssa rimonta a molti anni p1;ma1 e, secondo l'autore di queste note autobiografiche, fu determinata dalla politica finanziaria da lui svolta, quando teneva l'ufficio di ministro, rigidamente avversa alle illecite speculazioni ed intesa ad accrescere le imposte sulle classi ricche. Nel r9n, Caillaux era Presidente del Consiglio, quando scoppiò il più acuto dei ricorrenti conflitti franco-tedeschi, che preludevano all'inevitabile scoppio delle ostilità. Egli si ·mostrò subito favorevole ad mia politica conciliativa; e s'oppose alla proposta del miuistrro per gli affari esteri, De Selves, che voleva inviare nelle acque marocchine una nave da guerra francese, in risposta all'invio di una cannoniera tedesca ad Agadir, già effettuato dal governo di Berlino. Caillaux afferma che persistette in questo atteggiamento pacificatore: e quando s'avvide che De Selves, ch'egli aveva chiamato al Quai d'Orsay per con- ·siglio di Clemenceau, intendeva adottare una politica aggressiva, che avrebbe sboccato ben tosto alla guerra, egli, Caillaux, intervenne decisamente nella contesa e, con l'autorità di capo del •Governo, iniziò trattative dirette con Berlino, che portarono ali 'accordo del 4 novembre 1911, in virtù del quale parte del Congo francese fu ceduto alla Germania, il cui Governo s'adattò fi. nalmeute a riconoscere i diritti francesi sul Marocco. A Berlino l 'acrordo fu accolto a malincuore dai pangermanisti : ognuno ricorderà gli applausi che lo stesso Kronprinz tributò all'oratore che espose vivacemente le critiche dei tedesco-nazionali, dalla tribuna del Reichstag. Con non minore avversione fu giudicato dai nazionalisti francesi : e Clemenceau, allora presidente della commissione per gli affari esteri del Sena- ·to, in una memorabile discussione, iuvestl il presidente del consiglio, cbe fu costretto a dimettersi. L'accordo franco-germanico fu bensì approvato dalle due Camere : ma, da allora, si notò in Francia un risveglio di passioni, di cui il nuovo Presidente del consiglio, ·Poincarè, fu la manifesta espressione. Contro Caillaux continuarono gli attacchi : e 1a campagua assunse forme di eccezionale asprezza, quando, nei primi mesi del 19141 egli tornò al potere, in qualità di ministro delle finanze. L'opposizione scatenatasi contro la sua persona, Caillaux crede fosse originata dalla fennezza della sua politica finanziaria, dalla precisione dei suoi obiettivi pacifici e dall'aver egli, più volte, osteggiato oscuri maneggi borsistici. Egli narra che si oppose nel 19ro a che fossero ammessi alla quotazione di Borsa certi valori stranieri, contrariamente alla legge. Si oppose più tardi a un tentativo illecito da parte di un consorzio, detto della N'Goko Sangha. S'oppose a un tentativo fatto nel 1911 dal Figaro, quando questo giornale suggeri l'ammissione di valori tedeschi alla quotazione della borsa di Parigi. È questo giorna1e, diretto da Calmette, che nel r914 combatte Caillaux nel modo più violento: l'ex-ministro mostra di dubitare che gli attacchi non dispiacessero allo stesso Presidente della Repubblica, Poinè:aré, giacchè certe espressioni che il Presidente usò in privati colloqui, si ritrovarono negli articoli del Figaro. Quanto alle fonti cui attingeva il giornale avversario, Caillaux afferma che, ·molti anni or sono, la Dresdner Banh potè introdurre persona cli sua fiducia nel gabinetto direttoriale del Figa.ro: nel 1911,' altro governo straniero, che aveva motivo di disaccordo con la Fran- • da e che momentaneamente si trovò nell'orbita della politica tedesca (la Spagna?), potè iufluen7,arele direttive del Figaro: nel 1913, questo giòrnale accettò un sovvenzione dal conte Tisza, Primo ministro d'Ungheria, per sostenere la politica triplicista, che il partito dell'indipendenza ·ungherese combatteva. Caillaux presume che se fosse rimasto al potere nel 1914, avrebbe f~rse potuto rifare _lapoli~tic~conciliatrice del 1gn, risolvere le d1ffi.colta 1nternaziona1i, transigere, guadagnare del tempo : ed egli soggiunge che i partigiani della guerra sapevano che il tempo avrebbe lavorato contro le loro speranze. Ma il desiderio dei nazionalisti francesi, a11ora, era quello medesimo dei pangermanisti. Contro il ministro radicale furono moltiplicati gli attacchi: runo~anelalo fa minacciato: la signora Caillaux, LA RIVOLUZIONE LIBERALE al colmo dello sdegno, avvicinò il direttore del Figaro, e lo uccise; sicchè l'uomo politico fu costretto a ritirarsi dal governo. In tal modo il capo del partito radicale fu messo nell'impossibilità di aver qualunque influenza sugli avvenimenti cl1e maturavano: e come la ma11Oassassina del Vitaju, arm.atadai rancori del nazionalismo, s'avventò su Giova11ui Jattrl:s alla vigilia della guerra, cosl si pensò di uccidere, iu quel giorno medesimo, Giuseppe Caillaux. Secondo quanto il ministro Viviani disse a Caillaux, l'uccisore del tribuno socialista cercò iuvauo, per due giorni iutieri, l'odiatissimo capo dei radicali, per sopprimere anche quella voce molesta. Ma poichè questi 11011 poti: essere ucciso, gli avYersari cercarono di raggiungere lo stesso risultato per altre vie insidiose: questo pensa Caillaux. Non appena incomincia la guerra, i partiti francesi trovarouo opportuno di momentaneamente riconciliarsi, in nome della sacra tWione. Solo Caillanx fu messo al bando e contro di lui 1100 cessarono attacchi ed iugiurie. Si cliffoudevano voci strane ed asstll"de: ch'egli, ancora nel 1914, volesse por. fiue alla guerra, a qualunque costo, e stringere alleanza con la.Gennania ai danni dell'Inghilterra: che obliqui rapporti fossero intercorsi tra lui ed emissari stanieri. A più dprese il suo nome fu fatto come quello di un nemico della patria, di ll1I irreconciliabile avversario dell'Inghilterra, tanto cbe i giornali austriaci e tedeschi poterono impadronjrsi cli questa leggenda e consolidare lo spirito interno di resiste117..a,affermando cbe correnti pacifiste stavano per prevalere nei paesi nemici, e che assertore autorevole di questa politica di timidezza e di rinuncia era anche l'antico capo del governo francese. I nazionalisti, raggruppati intorno ali' A ction Française, che pure non cessarono di complottare contro la stabilità della Repubblica, furono i più implacabili accusatori di Caillaux. Per un singolare fenomeno, per l'amore della critica e dell'opposizione, per il rimpianto di essere tenuto lontano dal governo, Clemenceau aveva assunto atteggiamenti paralleli a quelli tradizionali agli uomini del nazionalismo monarchico. Il giornale di Clemenceau pubblicava attacchi fierissimi contro i governanti e la fiacchezza dell'azione politica e militare: critiche che poi venivano sistematicamente riprodotte dalla Gazette des A rdennes, il quotidiano edito dai tedeschi nei territori francesi occupati, di cui, in questo modo, Clemenceau poteva essere considerato il più prezioso collaboratore. Nel 1917 la crisi morale andò manifestandosi dovunque, fra i popoli belligeranti: 'la rivoluzione russa, l'insuccesso de11'offensiva francese e lo sfondamento del fronte italiano; avevano acuito il disagio e la trepidazione nei paesi alleati. Caillaux, fin dal 1915, riconosce di aver pensato alla possibilità di pervéuire alla pace: con t;rnta maggior consapevolezza e fervore vi pensava nel 1917. A suo giudiziò, dopo la vittoria della Marna, dopo che il piano austro-tedesco di una rapida definizione della guerra era fallito, la Francia poteva. accingersi a trattare onorevolmente la. pace : nel 1917 le condizioni dei due gruppi belligeranti permettevano nondimeno di addivenire alla fine della guerra, giacchè la rivoluzione russa costituiva un pericolo anche per la sal<len. interna dei paesi avversari e l'adesione dell'America all'Intesa assicurava un potente contributo alla causa della Francia. Le vittorie memorabili della Marna e di Verdun assicuravano ormai all '~sercito francese un 'atll"eolagloriosa, cosicchè la Repubblica potern decidersi ad interrompere la terribile lotta. < Non sai-ebbe stata certamente la pace di annientamento degli Imperi centrali che si ebbe nel 1918 - avverte Caillaux - nta se si fa il bilancio delle ipotesi e delle realtà, se si esamina.no le cose, escludendo la passione e con la preoccupazione degli interessi del nostro paese, è necessario constatare che la pace, dopo la Marna e l'Yser, avrebbe assicurato l'egemonia, l'egemonia morale s'intende, alla sola nazione allora vittoriosa: alla Francia >. Ma il desiderio di Caillaux appare manchevole e poco convincente, quando egli soggiunge che, qualora in quell 'epoca fosse stato al Governo, in nessun caso avrebbe acconsentito alla pace senza il ritorno alla Francia dell'Alsazia e della Lorena: è niai possibile credere che, nel 1915 e nel I9I7, gli sarebbe Iiuscito di attuare questo disegno? Sia perciò lecito di ritenere che l'ex Presidente abbia esposto queste sue convinzioni, senza la necessaria cautela; necessaria, quando si tratti di un personaggio rappresentativo com'eg1i era e di un paese come la Francia, impegnato in un 'azione terribile e decisiva. Giuseppe Caillaux dovrebbe volgere il pensiero ad un altro Uomo di Stato, che, durante la lunga guerra, fu fatto segno ad atroci accuse ed a tentativi sinistri, a Giovanni Giolitti, sul cui capo furono riversate incolpazioni abbominevoli, contro il quale si tentò anche di aprire un'istruttoria giudiziaria. Pure, la prudenza, il riserbo, l'abilità dello statista italiano, impedirono ai suoi avversari di concretare le accuse, di dare aspetto di veridicità alle mil- . lantate prove della perduellione e della simonia. Caillaux non seppe usare. la confessione è nelle stesse pagine della sua difesa, la medesima l'iservatezza e la stessa meclifuta prudenza: cosicchè gli avversari del capo del partito radicale ebbero motivo di approfittare della sua abbondanza e vivacità di liuguaggio e della sua passionalità troppo spinta. Il fatto che egli aveva avvicinalo talvolta l'avventuriero Eolo pascià, nonchè i traditori Duval e Lenoir; il fatto che la coppia equivoca Lipscher-Duvcrgé abbia tentato più volte di avvicinare l'ex-Presidente e di corrispondere con lui, sc117.,a che una denunzia scritta, precisa e regolare, sia stata preSs:ntata alla polizia; che, allorquando fu in Argentina, egli abbia parlato troppo liberamente con il conte Minotto, rivelatosi più tardi come un agente del miuistro tedesco Luxburg; che, alfiue, in Italia, abbia frequeutato la compagnia di Cavallini e Ilrunicardi, e in un colloquio con Ferdinando i\fartini esposto i suoi pensieri intorno all'ulterior corso della guerra; e in una cassaforte lasciata a Firenze abbia affermate non ortodosse convinzioni circa le C'rigini e le responsabilità della conflagrazione; lullo questo elette alimento alla campagna che, da anni, la stampa. avversaria coltivava. contro la sua persona e la sua politica; e motivo, o sia pure pretesto, alla persecuzione giudiziaria. Già durante il dibattito davanti all'Alta Corte, si ebbe la sensazione cbe il processo fosse principalmente animato dall'avversione che la politica dell'uomo di parte potè suscitare intorno a sè. Ad uno ad uno i più gravi motivi dell'accusa. furono invalidati: e la più gran parte del processo fu dedicata ali 'esame del carattere delle trattative cbe Caillaux, nel 1911, essendo Presidente del Consiglio, aveva promosso con la Germania: trattative che couqussero ad nu accordo internazionale, il quale, a suo tempo, ottenne pure l'approvazione del Senato e della Camera francesi. Cosicchè, all'ultima ora, crollato l'edificio della pubblica accusa, i nemici di Caillanx ricorsero all'articolo 78 del Codice e crearono una figura di reato, il quale, prima di quel momento, non fu mai contestato all'ex-Presidente, cbe perciò non ebbe modo di produrre testimonianze a sua discolpa o di discutere la fondatezza di quest'ultima accusa. Caillaux pensa che egli doveva essere condannato ad ogni modo : il suo processo politico non poteva condurre ad un'assoluzione, che avrebbe suonato condanna per i potenti dell'ora, per Clemenceau e per i suoi amici. Alla stessa guisa, con le stesse arti, Danton fu condannato quando Robespierre imperava. E anche Danton fu l'assertore di una politica di. transazione e di conciliazione iuternaziouale, opposta a quella sfrenata e violenta di Massimiliano Robespierre. E il condannato dal!' Alta Corte di Giustizia presume cli essere il Dantou clell'epoca che corre, perchè anch'egli si dichiara fautore di una politica che uou rinneghi nel mondo le pacifiche idealità della rivoluzione francese. Forse perchè Caillaux ritiene che il ciclo della Rivoluzione si fosse potuto chiudere prima dell'avvento del Bonaparte. Ma chi può immaginare la prima Repubblica senza l'Impero? Una repubblica borghese, pacifica, rinunziatrice, tutta dedita ai lucri mercantili, non avrebbe, comunque, resistito: fu travolta dall'ambizione napoleonica, ma, altrimenti, sarebbe stata soffocata dal ricordo della grandezza politica e militare dell 'autico regime. Chi può pensare che Napoleone I avrebbe trionfato, se, in precedenza, Luigi XIV non fosse stato il più significativo re dei francesi? CESARESrELLANZON. (1) Ottima la versione italiana, pubblicata dalla Casa Editrice Rassegna Internazionale, Roma. POSTILLE Filosofia ed azione. lin amico filosofo mi dice che l'Italia è alla testa del progresso politico moderno, perchè i pensatori nostri hanno svolto il più moderno e pieno concetto della politica. Adagio. La vita non è tutta filosofia, in senso stretto e direi quasi tecnico: nori è immediatamente filosofia. Non ci affrettiamo troppo a iclen- .,tificare ! Da Giobe1ti a Spaventa, l'Italia ha co,;iquistat,, la consapevolezza dell'ideale liberale moderno dello Stato, cioè ba latta sua l'eredità della Riforma e della filosofia romantica: col Risorgimento ha ripresa e compiuta. 1 'opera rimasta sospesa, <lei Rinascimento: si è rimessa in pari con l'Europa, ossia è rientrata - secondo la formula di D. Spaventa - nella circolazione del pensiero europeo. Ma altro è la storia esemplare delle conquiste dello spirito umano, nella quale un campione basta a vendica.re una verita come a<l il1ustra1e una nazione, altro è la storia della cultura, cioè della diffusione, dell'irradiazione e della fortuna di quelle idee (della loro digestione - per usare un'immagine fisiologica) nelle coscienze. Anr.lie nel loro tempo, Gioberti e gli Spaventa restano i sommi rappresentanti di un'esigua minoranza di pensatori e di politici; e lo Stato italiano, istituto storico e giuridico, sorge secondo il liberalismo « a scarta1nento ridotto i, del grandissimo Cavour, del quale resta suggello la famosa ed insufficiente formula: libera. Chiesa i.n. I.ibero Stato; dove nè lo Stato è vero Stato, nè la Chiesa è vera Chiesa. Quell'altissimo concetto filosofico e quell'ideale concreto dello Stato, che è affermato sopratutto dagli Spaventa, si offusca poi ed esula dal1'orizzc,nte della nostra vita politica, in quanto costruzione consapevole, nelle generazioni c-he possiamo dire, all'ingrosso, di dopo Vittorio Emanuele IL Non fa meraviglia che in tale periodo la funzioue cli alimentare in qualche modo la creazione ideale dello Stato sia esercitata - 11011 • ostante tutta la sua insufficienza - dal moYi69 mento socialista, il quale promuove l'ingresso 11ella vita politica di masse sociali che ne erano sino allora escluse, o - dire-mo più correttamente - promuove il sorgere della vita politica in una moltitudine di coscienze nelle quali essa non aveva ancor avuto la sua aurora (la < Mo11archia sociaUsta > di Missiroli). In tale periodo abbiamo il laicismo vuoto dello Stato, contro il quale si appunta la critica del movimento idealista iniziatosi dalla fine del secolo in qua. Orbene, se è vero che una dottrina, come tutto ciò che è del mondo ideale, non già esiste in qu.anto formulata una volta tanto, ma solo in quanto vissuta, coltivata, nuovamente riaffermata e conquistata con un'attività che è una creazùme continua, il compito cui dobbiamo mirare è quello di ravvivare, diffondere queste idee, dissodando il campo - ahi! quanto ;ngombro di macerie e di ortiche! - della coltura politica. Il popolo italiano non è all'alteu..a del liberalismo dei suoi maggiori politici e pensatori (consoliamoci, pensando che non può alcnn popolo, per definizione, essere all'altezza dei suoi uomini maggiori). Perciò, con un 'opera assidua di critica della sua vita politica (nel Governo, nel Parlamento, nei partiti, nella stampa, dappertutto), è necessario promuovere il miglioramento, l'incremento della sua cultura politica. Essa ha due aspetti : 1 'uno più strettamente fi. losofico cioè come dottrina dello Stato, che è parte essenziale della concc-zione del mondo morale e pertanto della vita tutta, e l'altro tecnico (il problemismo, il concretismo di Salvemini), che deve costituire la vera C'oncretezza storica, nutrita e determinata, della politica, senza la quale si rischia di cadere nel vago o di aggirarsi tra le nuvole. Ora l'apparente sterilità - in quanto, cioè, frutti immediati non se ne vedono - del problemismo (predicato ad es. da Salvemiui, per anni ed anni, nell'Unità) e l'apparente sterilità della preparazione filosofica ad una elevata concezione della politica ossia dello Stato (svolta ad es. in ll1ta rivista di altissima ispirazione quale è il Rinascimento di Romolo Murri) suggerisce una facile obiezione: « Non vi accorgete, voi in... tellett,uili, di non far altro che pestar l'acqua nel mortaio? La società cammina .e il Paese fa, bene o male, la sua politica, agitando interessi, proseguendo scopi - sian pure illusori - del tutto estranei ai vostri studi? Non vedete che siete del tutto fuori della corrente, torbida, incomposta, ma forte, sulla quale esercitate un'azione esclusivamente negati,,a? L'obiezione è nota, e ce la siamo proposta più volte. Ma ci son pietre ed ostacoli « negativi », che, a tenerli fermi contro la corrente, l'obbliga.no a deporre insensibilmente ma sicuramente i materiali che trascina seco, e, a lungo andare, la chiarificano· e ne modificano il corso stesso. Vi sono seminagioni delle quali chi semina non vedrà forse il frutto. Se dir questo può parere presunzione, diremo, in forma che pare soltanto ma non è più modesta, questa verità blondeliana: che nessuna azione può andare perduta, ma sempre si perpettia in una irrevocabile infinita fi. liazione di effetti. (E azione - dovrebbe essere superfluo avvertirlo - non è soltanto la bomba, il cazzotto, il discorso cli comizio, la scheda nel1 'urna e l'interpellanza; ma il pensiero è azione). Perciò, faccia ognuno il suo ufficio secondo le attitudini che sente di avere: chi farà 1 'orgauizzatore e chi il galoppino elettorale, chi Io studioso e chi il giornalista: c'è posto per tutti. La vera vru1ità è di quelli che gridano alla vanità dell'azione d'altri 1 mostrandosi con ciò privi affatto di quella più vera ed elevata forma di tolleranza critica {pare un bisticcio, e non è) cbe deriva dal concetto della infinita complessità e della possi?ilità senza numero della vita umana. LUIGI EMERY. La pas!:ìione adriatica residui delle ideologie e dei miti che sorti come voce tli sah:ezza ~a! travaglio del' dopo- ~uei:a, s<?noormai morti 1n sè stessi - per la. mqu1etuchne dalla quale erano nati e che li fa. cev3: appa.ri~·eosc~llanti _pur_nel loro propagarsi tra 1 clamon degh entusiasti e la debolezza deo-li oppositori - ingombrano ancora troppo la ;Ostra vita politica. La passione adriatica è uno di questi miti forse il maggiore. ' . L'~cup~zione di Fiume trova la sua apparente gmsttficaz10ne nella YOlontà di sal11are la 'Vittoria. dagli alleati, la sua più profonda valutazione nel dissidio intimo di uno spirito ribelle che s1. nco1legava a tutta la tradizione di guerre volontarie del risorgimento, ma non sapeva giungere alle sue ultime conclusioni rivoluzionarie e voleva n:iauter~er~inell'orbita, _integrandola ap~ punto coi colpi eh mano, dell'azione governativa. La posizione naz_ionale falliva perchè condotta c~me s?vrarpos~z1o~e agh organi statali, quella n:voluzio1iana st cluudeva sansruinosamente iuu-- tile, perchè 0Scillru1te in una O confusione di sedizione e legalità. Tutte le contracldizio11i le incertezze e le falsità del processo di unità' italian~ si sono scoutrate in un cozzo sanguinoso - tragica condanna - fra i baleni di eroismo iudi- ·viduale inutilmente in rivolta coùtro la storia. Era riconferma che non si poteva più oltre procedere per quella stessa via di contraddizioni. Rinnovando Aspromoute, sull'equivoco si era levata la tragedia. Più oltre sarebbe venuta la buffonata : la « spedizione punitiva » contro Zanclla. è ]'ultima parodia allegra. Non potendo e uon volendo infirmare il tratto cli Rapallo è sciocco opporsi alla logica di quel trattato. E continuare ad intralciare l'azione governativa agitando velleità sentimentali è contrario alla necessità cli vita delle popolazioni adriatiche cbe muoiono nell'artificioso turbamento dei tr~ffi.ci. M. L.

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