La Rivoluzione Liberale - anno I - n. 18 - 18 giugno 1922

CAILLAUX Giuseppe Caillau.x, deputato miuistro Presidente del Consiglio, finanziere,' accusato davanti all'Alta Corte di giuslizia, è mia delle figure più notevoli della Fraucia contemporanea. Conlro di lui si è scateuata, da anni, la furia delle passioni partigiane. Durante la guerra, si udirono al suo indirizzo accuse disonorevoli. Poi fu arreslato, riucliiuso in carcere tra assassini e m.alfattori comuni, sorvegliato continuamente, sottoposto alla più torturante e umiliante inquisizione. Il suo nome fu avvicinato a quelli di Dolo pascià e <li Lenoir, entrambi affidati al carnefice come re.i di commercio con il nemico. Fu coudaunato, <ilfiue, dal Seuato riunito in Alta Corte, mercè uno stratagemma dell'ultima ora, di cui è sempre dubbia Ja legalità. Questa lunga e dolorosa avventura è narrata dallo stesso Caillaux, iu un volume di receute pubblicazione: Mes p,isons (1), nel quale le accuse che fonnarono oggetto della duplice istruttoria e del pubblico giudizio, sono accuratamente esaminate e confutate. L'opposizione a Giuseppe Caillaux non si è manifestata, in Francia, nelle sue forme più acute, solo <lopo 1'iuizio della guerra mondiale. F..ssa rimonta a molti anni p1;ma1 e, secondo l'autore di queste note autobiografiche, fu determinata dalla politica finanziaria da lui svolta, quando teneva l'ufficio di ministro, rigidamente avversa alle illecite speculazioni ed intesa ad accrescere le imposte sulle classi ricche. Nel r9n, Caillaux era Presidente del Consiglio, quando scoppiò il più acuto dei ricorrenti conflitti franco-tedeschi, che preludevano all'inevitabile scoppio delle ostilità. Egli si ·mostrò subito favorevole ad mia politica conciliativa; e s'oppose alla proposta del miuistrro per gli affari esteri, De Selves, che voleva inviare nelle acque marocchine una nave da guerra francese, in risposta all'invio di una cannoniera tedesca ad Agadir, già effettuato dal governo di Berlino. Caillaux afferma che persistette in questo atteggiamento pacificatore: e quando s'avvide che De Selves, ch'egli aveva chiamato al Quai d'Orsay per con- ·siglio di Clemenceau, intendeva adottare una politica aggressiva, che avrebbe sboccato ben tosto alla guerra, egli, Caillaux, intervenne decisamente nella contesa e, con l'autorità di capo del •Governo, iniziò trattative dirette con Berlino, che portarono ali 'accordo del 4 novembre 1911, in virtù del quale parte del Congo francese fu ceduto alla Germania, il cui Governo s'adattò fi. nalmeute a riconoscere i diritti francesi sul Marocco. A Berlino l 'acrordo fu accolto a malincuore dai pangermanisti : ognuno ricorderà gli applausi che lo stesso Kronprinz tributò all'oratore che espose vivacemente le critiche dei tedesco-nazionali, dalla tribuna del Reichstag. Con non minore avversione fu giudicato dai nazionalisti francesi : e Clemenceau, allora presidente della commissione per gli affari esteri del Sena- ·to, in una memorabile discussione, iuvestl il presidente del consiglio, cbe fu costretto a dimettersi. L'accordo franco-germanico fu bensì approvato dalle due Camere : ma, da allora, si notò in Francia un risveglio di passioni, di cui il nuovo Presidente del consiglio, ·Poincarè, fu la manifesta espressione. Contro Caillaux continuarono gli attacchi : e 1a campagua assunse forme di eccezionale asprezza, quando, nei primi mesi del 19141 egli tornò al potere, in qualità di ministro delle finanze. L'opposizione scatenatasi contro la sua persona, Caillaux crede fosse originata dalla fennezza della sua politica finanziaria, dalla precisione dei suoi obiettivi pacifici e dall'aver egli, più volte, osteggiato oscuri maneggi borsistici. Egli narra che si oppose nel 19ro a che fossero ammessi alla quotazione di Borsa certi valori stranieri, contrariamente alla legge. Si oppose più tardi a un tentativo illecito da parte di un consorzio, detto della N'Goko Sangha. S'oppose a un tentativo fatto nel 1911 dal Figaro, quando questo giornale suggeri l'ammissione di valori tedeschi alla quotazione della borsa di Parigi. È questo giorna1e, diretto da Calmette, che nel r914 combatte Caillaux nel modo più violento: l'ex-ministro mostra di dubitare che gli attacchi non dispiacessero allo stesso Presidente della Repubblica, Poinè:aré, giacchè certe espressioni che il Presidente usò in privati colloqui, si ritrovarono negli articoli del Figaro. Quanto alle fonti cui attingeva il giornale avversario, Caillaux afferma che, ·molti anni or sono, la Dresdner Banh potè introdurre persona cli sua fiducia nel gabinetto direttoriale del Figa.ro: nel 1911,' altro governo straniero, che aveva motivo di disaccordo con la Fran- • da e che momentaneamente si trovò nell'orbita della politica tedesca (la Spagna?), potè iufluen7,arele direttive del Figaro: nel 1913, questo giòrnale accettò un sovvenzione dal conte Tisza, Primo ministro d'Ungheria, per sostenere la politica triplicista, che il partito dell'indipendenza ·ungherese combatteva. Caillaux presume che se fosse rimasto al potere nel 1914, avrebbe f~rse potuto rifare _lapoli~tic~conciliatrice del 1gn, risolvere le d1ffi.colta 1nternaziona1i, transigere, guadagnare del tempo : ed egli soggiunge che i partigiani della guerra sapevano che il tempo avrebbe lavorato contro le loro speranze. Ma il desiderio dei nazionalisti francesi, a11ora, era quello medesimo dei pangermanisti. Contro il ministro radicale furono moltiplicati gli attacchi: runo~anelalo fa minacciato: la signora Caillaux, LA RIVOLUZIONE LIBERALE al colmo dello sdegno, avvicinò il direttore del Figaro, e lo uccise; sicchè l'uomo politico fu costretto a ritirarsi dal governo. In tal modo il capo del partito radicale fu messo nell'impossibilità di aver qualunque influenza sugli avvenimenti cl1e maturavano: e come la ma11Oassassina del Vitaju, arm.atadai rancori del nazionalismo, s'avventò su Giova11ui Jattrl:s alla vigilia della guerra, cosl si pensò di uccidere, iu quel giorno medesimo, Giuseppe Caillaux. Secondo quanto il ministro Viviani disse a Caillaux, l'uccisore del tribuno socialista cercò iuvauo, per due giorni iutieri, l'odiatissimo capo dei radicali, per sopprimere anche quella voce molesta. Ma poichè questi 11011 poti: essere ucciso, gli avYersari cercarono di raggiungere lo stesso risultato per altre vie insidiose: questo pensa Caillaux. Non appena incomincia la guerra, i partiti francesi trovarouo opportuno di momentaneamente riconciliarsi, in nome della sacra tWione. Solo Caillanx fu messo al bando e contro di lui 1100 cessarono attacchi ed iugiurie. Si cliffoudevano voci strane ed asstll"de: ch'egli, ancora nel 1914, volesse por. fiue alla guerra, a qualunque costo, e stringere alleanza con la.Gennania ai danni dell'Inghilterra: che obliqui rapporti fossero intercorsi tra lui ed emissari stanieri. A più dprese il suo nome fu fatto come quello di un nemico della patria, di ll1I irreconciliabile avversario dell'Inghilterra, tanto cbe i giornali austriaci e tedeschi poterono impadronjrsi cli questa leggenda e consolidare lo spirito interno di resiste117..a,affermando cbe correnti pacifiste stavano per prevalere nei paesi nemici, e che assertore autorevole di questa politica di timidezza e di rinuncia era anche l'antico capo del governo francese. I nazionalisti, raggruppati intorno ali' A ction Française, che pure non cessarono di complottare contro la stabilità della Repubblica, furono i più implacabili accusatori di Caillaux. Per un singolare fenomeno, per l'amore della critica e dell'opposizione, per il rimpianto di essere tenuto lontano dal governo, Clemenceau aveva assunto atteggiamenti paralleli a quelli tradizionali agli uomini del nazionalismo monarchico. Il giornale di Clemenceau pubblicava attacchi fierissimi contro i governanti e la fiacchezza dell'azione politica e militare: critiche che poi venivano sistematicamente riprodotte dalla Gazette des A rdennes, il quotidiano edito dai tedeschi nei territori francesi occupati, di cui, in questo modo, Clemenceau poteva essere considerato il più prezioso collaboratore. Nel 1917 la crisi morale andò manifestandosi dovunque, fra i popoli belligeranti: 'la rivoluzione russa, l'insuccesso de11'offensiva francese e lo sfondamento del fronte italiano; avevano acuito il disagio e la trepidazione nei paesi alleati. Caillaux, fin dal 1915, riconosce di aver pensato alla possibilità di pervéuire alla pace: con t;rnta maggior consapevolezza e fervore vi pensava nel 1917. A suo giudiziò, dopo la vittoria della Marna, dopo che il piano austro-tedesco di una rapida definizione della guerra era fallito, la Francia poteva. accingersi a trattare onorevolmente la. pace : nel 1917 le condizioni dei due gruppi belligeranti permettevano nondimeno di addivenire alla fine della guerra, giacchè la rivoluzione russa costituiva un pericolo anche per la sal<len. interna dei paesi avversari e l'adesione dell'America all'Intesa assicurava un potente contributo alla causa della Francia. Le vittorie memorabili della Marna e di Verdun assicuravano ormai all '~sercito francese un 'atll"eolagloriosa, cosicchè la Repubblica potern decidersi ad interrompere la terribile lotta. < Non sai-ebbe stata certamente la pace di annientamento degli Imperi centrali che si ebbe nel 1918 - avverte Caillaux - nta se si fa il bilancio delle ipotesi e delle realtà, se si esamina.no le cose, escludendo la passione e con la preoccupazione degli interessi del nostro paese, è necessario constatare che la pace, dopo la Marna e l'Yser, avrebbe assicurato l'egemonia, l'egemonia morale s'intende, alla sola nazione allora vittoriosa: alla Francia >. Ma il desiderio di Caillaux appare manchevole e poco convincente, quando egli soggiunge che, qualora in quell 'epoca fosse stato al Governo, in nessun caso avrebbe acconsentito alla pace senza il ritorno alla Francia dell'Alsazia e della Lorena: è niai possibile credere che, nel 1915 e nel I9I7, gli sarebbe Iiuscito di attuare questo disegno? Sia perciò lecito di ritenere che l'ex Presidente abbia esposto queste sue convinzioni, senza la necessaria cautela; necessaria, quando si tratti di un personaggio rappresentativo com'eg1i era e di un paese come la Francia, impegnato in un 'azione terribile e decisiva. Giuseppe Caillaux dovrebbe volgere il pensiero ad un altro Uomo di Stato, che, durante la lunga guerra, fu fatto segno ad atroci accuse ed a tentativi sinistri, a Giovanni Giolitti, sul cui capo furono riversate incolpazioni abbominevoli, contro il quale si tentò anche di aprire un'istruttoria giudiziaria. Pure, la prudenza, il riserbo, l'abilità dello statista italiano, impedirono ai suoi avversari di concretare le accuse, di dare aspetto di veridicità alle mil- . lantate prove della perduellione e della simonia. Caillaux non seppe usare. la confessione è nelle stesse pagine della sua difesa, la medesima l'iservatezza e la stessa meclifuta prudenza: cosicchè gli avversari del capo del partito radicale ebbero motivo di approfittare della sua abbondanza e vivacità di liuguaggio e della sua passionalità troppo spinta. Il fatto che egli aveva avvicinalo talvolta l'avventuriero Eolo pascià, nonchè i traditori Duval e Lenoir; il fatto che la coppia equivoca Lipscher-Duvcrgé abbia tentato più volte di avvicinare l'ex-Presidente e di corrispondere con lui, sc117.,a che una denunzia scritta, precisa e regolare, sia stata preSs:ntata alla polizia; che, allorquando fu in Argentina, egli abbia parlato troppo liberamente con il conte Minotto, rivelatosi più tardi come un agente del miuistro tedesco Luxburg; che, alfiue, in Italia, abbia frequeutato la compagnia di Cavallini e Ilrunicardi, e in un colloquio con Ferdinando i\fartini esposto i suoi pensieri intorno all'ulterior corso della guerra; e in una cassaforte lasciata a Firenze abbia affermate non ortodosse convinzioni circa le C'rigini e le responsabilità della conflagrazione; lullo questo elette alimento alla campagna che, da anni, la stampa. avversaria coltivava. contro la sua persona e la sua politica; e motivo, o sia pure pretesto, alla persecuzione giudiziaria. Già durante il dibattito davanti all'Alta Corte, si ebbe la sensazione cbe il processo fosse principalmente animato dall'avversione che la politica dell'uomo di parte potè suscitare intorno a sè. Ad uno ad uno i più gravi motivi dell'accusa. furono invalidati: e la più gran parte del processo fu dedicata ali 'esame del carattere delle trattative cbe Caillaux, nel 1911, essendo Presidente del Consiglio, aveva promosso con la Germania: trattative che couqussero ad nu accordo internazionale, il quale, a suo tempo, ottenne pure l'approvazione del Senato e della Camera francesi. Cosicchè, all'ultima ora, crollato l'edificio della pubblica accusa, i nemici di Caillanx ricorsero all'articolo 78 del Codice e crearono una figura di reato, il quale, prima di quel momento, non fu mai contestato all'ex-Presidente, cbe perciò non ebbe modo di produrre testimonianze a sua discolpa o di discutere la fondatezza di quest'ultima accusa. Caillaux pensa che egli doveva essere condannato ad ogni modo : il suo processo politico non poteva condurre ad un'assoluzione, che avrebbe suonato condanna per i potenti dell'ora, per Clemenceau e per i suoi amici. Alla stessa guisa, con le stesse arti, Danton fu condannato quando Robespierre imperava. E anche Danton fu l'assertore di una politica di. transazione e di conciliazione iuternaziouale, opposta a quella sfrenata e violenta di Massimiliano Robespierre. E il condannato dal!' Alta Corte di Giustizia presume cli essere il Dantou clell'epoca che corre, perchè anch'egli si dichiara fautore di una politica che uou rinneghi nel mondo le pacifiche idealità della rivoluzione francese. Forse perchè Caillaux ritiene che il ciclo della Rivoluzione si fosse potuto chiudere prima dell'avvento del Bonaparte. Ma chi può immaginare la prima Repubblica senza l'Impero? Una repubblica borghese, pacifica, rinunziatrice, tutta dedita ai lucri mercantili, non avrebbe, comunque, resistito: fu travolta dall'ambizione napoleonica, ma, altrimenti, sarebbe stata soffocata dal ricordo della grandezza politica e militare dell 'autico regime. Chi può pensare che Napoleone I avrebbe trionfato, se, in precedenza, Luigi XIV non fosse stato il più significativo re dei francesi? CESARESrELLANZON. (1) Ottima la versione italiana, pubblicata dalla Casa Editrice Rassegna Internazionale, Roma. POSTILLE Filosofia ed azione. lin amico filosofo mi dice che l'Italia è alla testa del progresso politico moderno, perchè i pensatori nostri hanno svolto il più moderno e pieno concetto della politica. Adagio. La vita non è tutta filosofia, in senso stretto e direi quasi tecnico: nori è immediatamente filosofia. Non ci affrettiamo troppo a iclen- .,tificare ! Da Giobe1ti a Spaventa, l'Italia ha co,;iquistat,, la consapevolezza dell'ideale liberale moderno dello Stato, cioè ba latta sua l'eredità della Riforma e della filosofia romantica: col Risorgimento ha ripresa e compiuta. 1 'opera rimasta sospesa, <lei Rinascimento: si è rimessa in pari con l'Europa, ossia è rientrata - secondo la formula di D. Spaventa - nella circolazione del pensiero europeo. Ma altro è la storia esemplare delle conquiste dello spirito umano, nella quale un campione basta a vendica.re una verita come a<l il1ustra1e una nazione, altro è la storia della cultura, cioè della diffusione, dell'irradiazione e della fortuna di quelle idee (della loro digestione - per usare un'immagine fisiologica) nelle coscienze. Anr.lie nel loro tempo, Gioberti e gli Spaventa restano i sommi rappresentanti di un'esigua minoranza di pensatori e di politici; e lo Stato italiano, istituto storico e giuridico, sorge secondo il liberalismo « a scarta1nento ridotto i, del grandissimo Cavour, del quale resta suggello la famosa ed insufficiente formula: libera. Chiesa i.n. I.ibero Stato; dove nè lo Stato è vero Stato, nè la Chiesa è vera Chiesa. Quell'altissimo concetto filosofico e quell'ideale concreto dello Stato, che è affermato sopratutto dagli Spaventa, si offusca poi ed esula dal1'orizzc,nte della nostra vita politica, in quanto costruzione consapevole, nelle generazioni c-he possiamo dire, all'ingrosso, di dopo Vittorio Emanuele IL Non fa meraviglia che in tale periodo la funzioue cli alimentare in qualche modo la creazione ideale dello Stato sia esercitata - 11011 • ostante tutta la sua insufficienza - dal moYi69 mento socialista, il quale promuove l'ingresso 11ella vita politica di masse sociali che ne erano sino allora escluse, o - dire-mo più correttamente - promuove il sorgere della vita politica in una moltitudine di coscienze nelle quali essa non aveva ancor avuto la sua aurora (la < Mo11archia sociaUsta > di Missiroli). In tale periodo abbiamo il laicismo vuoto dello Stato, contro il quale si appunta la critica del movimento idealista iniziatosi dalla fine del secolo in qua. Orbene, se è vero che una dottrina, come tutto ciò che è del mondo ideale, non già esiste in qu.anto formulata una volta tanto, ma solo in quanto vissuta, coltivata, nuovamente riaffermata e conquistata con un'attività che è una creazùme continua, il compito cui dobbiamo mirare è quello di ravvivare, diffondere queste idee, dissodando il campo - ahi! quanto ;ngombro di macerie e di ortiche! - della coltura politica. Il popolo italiano non è all'alteu..a del liberalismo dei suoi maggiori politici e pensatori (consoliamoci, pensando che non può alcnn popolo, per definizione, essere all'altezza dei suoi uomini maggiori). Perciò, con un 'opera assidua di critica della sua vita politica (nel Governo, nel Parlamento, nei partiti, nella stampa, dappertutto), è necessario promuovere il miglioramento, l'incremento della sua cultura politica. Essa ha due aspetti : 1 'uno più strettamente fi. losofico cioè come dottrina dello Stato, che è parte essenziale della concc-zione del mondo morale e pertanto della vita tutta, e l'altro tecnico (il problemismo, il concretismo di Salvemini), che deve costituire la vera C'oncretezza storica, nutrita e determinata, della politica, senza la quale si rischia di cadere nel vago o di aggirarsi tra le nuvole. Ora l'apparente sterilità - in quanto, cioè, frutti immediati non se ne vedono - del problemismo (predicato ad es. da Salvemiui, per anni ed anni, nell'Unità) e l'apparente sterilità della preparazione filosofica ad una elevata concezione della politica ossia dello Stato (svolta ad es. in ll1ta rivista di altissima ispirazione quale è il Rinascimento di Romolo Murri) suggerisce una facile obiezione: « Non vi accorgete, voi in... tellett,uili, di non far altro che pestar l'acqua nel mortaio? La società cammina .e il Paese fa, bene o male, la sua politica, agitando interessi, proseguendo scopi - sian pure illusori - del tutto estranei ai vostri studi? Non vedete che siete del tutto fuori della corrente, torbida, incomposta, ma forte, sulla quale esercitate un'azione esclusivamente negati,,a? L'obiezione è nota, e ce la siamo proposta più volte. Ma ci son pietre ed ostacoli « negativi », che, a tenerli fermi contro la corrente, l'obbliga.no a deporre insensibilmente ma sicuramente i materiali che trascina seco, e, a lungo andare, la chiarificano· e ne modificano il corso stesso. Vi sono seminagioni delle quali chi semina non vedrà forse il frutto. Se dir questo può parere presunzione, diremo, in forma che pare soltanto ma non è più modesta, questa verità blondeliana: che nessuna azione può andare perduta, ma sempre si perpettia in una irrevocabile infinita fi. liazione di effetti. (E azione - dovrebbe essere superfluo avvertirlo - non è soltanto la bomba, il cazzotto, il discorso cli comizio, la scheda nel1 'urna e l'interpellanza; ma il pensiero è azione). Perciò, faccia ognuno il suo ufficio secondo le attitudini che sente di avere: chi farà 1 'orgauizzatore e chi il galoppino elettorale, chi Io studioso e chi il giornalista: c'è posto per tutti. La vera vru1ità è di quelli che gridano alla vanità dell'azione d'altri 1 mostrandosi con ciò privi affatto di quella più vera ed elevata forma di tolleranza critica {pare un bisticcio, e non è) cbe deriva dal concetto della infinita complessità e della possi?ilità senza numero della vita umana. LUIGI EMERY. La pas!:ìione adriatica residui delle ideologie e dei miti che sorti come voce tli sah:ezza ~a! travaglio del' dopo- ~uei:a, s<?noormai morti 1n sè stessi - per la. mqu1etuchne dalla quale erano nati e che li fa. cev3: appa.ri~·eosc~llanti _pur_nel loro propagarsi tra 1 clamon degh entusiasti e la debolezza deo-li oppositori - ingombrano ancora troppo la ;Ostra vita politica. La passione adriatica è uno di questi miti forse il maggiore. ' . L'~cup~zione di Fiume trova la sua apparente gmsttficaz10ne nella YOlontà di sal11are la 'Vittoria. dagli alleati, la sua più profonda valutazione nel dissidio intimo di uno spirito ribelle che s1. nco1legava a tutta la tradizione di guerre volontarie del risorgimento, ma non sapeva giungere alle sue ultime conclusioni rivoluzionarie e voleva n:iauter~er~inell'orbita, _integrandola ap~ punto coi colpi eh mano, dell'azione governativa. La posizione naz_ionale falliva perchè condotta c~me s?vrarpos~z1o~e agh organi statali, quella n:voluzio1iana st cluudeva sansruinosamente iuu-- tile, perchè 0Scillru1te in una O confusione di sedizione e legalità. Tutte le contracldizio11i le incertezze e le falsità del processo di unità' italian~ si sono scoutrate in un cozzo sanguinoso - tragica condanna - fra i baleni di eroismo iudi- ·viduale inutilmente in rivolta coùtro la storia. Era riconferma che non si poteva più oltre procedere per quella stessa via di contraddizioni. Rinnovando Aspromoute, sull'equivoco si era levata la tragedia. Più oltre sarebbe venuta la buffonata : la « spedizione punitiva » contro Zanclla. è ]'ultima parodia allegra. Non potendo e uon volendo infirmare il tratto cli Rapallo è sciocco opporsi alla logica di quel trattato. E continuare ad intralciare l'azione governativa agitando velleità sentimentali è contrario alla necessità cli vita delle popolazioni adriatiche cbe muoiono nell'artificioso turbamento dei tr~ffi.ci. M. L.

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