RE NUDO - Anno XI - n. 91 - ottobre 1980

RENUDO/10 Tra gli altri il rischio più comune è quello di adeguarsi ad un confor– mismo ulteriore. Dopo Freud, dopo Jung, dopo Laing ecco arrivare i gruppi d'incontro, partoriti dalla "nuova cultura" americana, che or– mai maggiorenni viaggiano dalla California a qui per dispensare be– nessere a tutti. Si badi bene il nucleo del problema non è se l'uno o l'altro sia il sentiero giusto né dove stiano gli imbonitori e dove i saggi (che se dell'una merce v'è da sempre ab– bondanza dell'altra non v'è che ca– restia) ma piuttosto come e perché le giovani e le non più giovani gene– razioni effettuino le proprie scelte e qui la tragedia manifesta la sua di– mensione reale. In un mondo in cui nessuno ha più un amico a cui vol– tare le spalle chi ci sta accanto, ci conforta, ci indirizza nelle nostre scelte sono i media: ultima sede della divinità fattasi opinione. Il successo, equivalente general– mente riconosciuto della credibilità, si conta in minuti e secondi di pre– senza sul video, in pagine o bran– delli sulle riviste d'opinione (meglio se credibili come i'ESPRESSO o Panorama) avvalorando l'antico equivalenza secondo cui solo ciò che è credibile appare e quindi solo ciò che appare è credibile. D'altro canto negare la realtà di questo modo di intendere e "volere" e le sue conseguenze corrisponde tout-court a negarsi ogni esistenza sociale ed al tempo stesso negare la realtà del mondo presente e dei suoi modi e non è così che si può intra– prendere il cambiamento. Lo slogan '68otte co' "prendiamo i nostri desideri per la realtà perché crediamo nella realtà dei nostri de- ideri" celava sul retro l'epitaffio "neghiamo la realtà del mondo do– minante perché neghiamo la de i– derabilità del domani che ci offre" questo atteggiamento negazionista che ha assunto la forma esclusiva di negare l'evidente mostra a IO anni di distanza la propria conseguenza più eclatante nel riflusso verso tutto ciò che appare, che è evidenziato che è spacciato per desiderabile o credibile dai gestori dell'informa– zione. •La critica radicale si arresta qui affidando il superamento delle con– dizioni presenti ad un sempre lati– tante "movimento reale" che elimi– na le condizioni presenti minando– ne le radici. Questa soluzione non fa che ri– mandare tutto ad un al di là della rivoluzione improbabile delle vec– chie talpe: una soluzione che non ha niente da invidiare ai misticismi che l'hanno preceduta. Il L'EVIDENZA DI CIO' CHE NON APPARE I reichiani più radicali sono giunti ad una conclusione: inconscio è il corpo. I meno radicali non posson esimersi dal constatare come, per l_o meno, la consapevolezza del corpo sia assen– te (rimossa inconscia) nella stra– grande maggioranza delle persone. La distanza tra le due posizioni è tutta nella volontà di scontro con le ideologie dominanti, del marxismo e del cristianesimo nessuna delle quali, si noti bene, è in disaccordo di compatibilità con l'affermazione forte ma avendo interessi di cosca o di casta da difendere è pronta a scagliarsi con finalità distruttive contro chiunque mostri una com– prensione più avanzata e più globa– le o comunque diversa del fenome– no della vita e delle sue distorsioni. Chiunque si sia assunto delle re– sponsabilità ben precise nell'avval– lare la miseria e la sofferenza come necessità del genere umano non può che negare aspramente la necessità di riportare il piacere e l'amore nella vita di tutti i giorni ed è l'amore, ed il ripristino della capacità di amare e di evocare soprattutto, quello per le persone più che per le idee che spa– venta costoro ed il ripristino della capacità di amare e di evocare l'a– more è l'unica conseguenza possibi– le di una terapia reichiana coronata da successo. Qui il personale torna ad incon– trarsi col politico perché qualsiasi terapia è destinata a fallire se il suo impatto non è diretto sul sociale at– traverso il personale. La vita non può tornare ad esprimersi pienamente, liberamente in un assetto sociale che ne neghi le necessità fondamentali (cioè l'esprimersi) e tale assetto so– ciale permarrà inalteraro se le per– sone non cominciano esse ste se a mutare. Per questo nessuna terapia oggi è in grado di restituire pienamente la gioia di vivere e tanto meno è in grado di prevenire ricadute. Nessu– na terapia, oggi, si può quindi con– siderare definitiva. D'altra parte alcune terapie pos– sono favorire lo sviluppo di fattori immunitari individuali e sociali e capacità di autoregolazione passibili di migliorare, e non di poco, la qualità della vita di chi vi fa ricorso. Una lenta mutazione è quindi in corso, una mutazione ancora penosa e difficile perché i primi mutanti sono ancora dei "diversi" degli "strani" e diverso, inusuale, è il loro modo d'intendere la vita e di muo– versi in essa: sono le prime persone che stanno, faticosamente, tornando ad un impiego funzionale delle pro– prie difese. La finalità di ogni terapia non è infatti di liberare il soggetto dalle sue difese (inibizioni) ma di modi- ficarne il modo d'uso poiché le di– fese caratteriali, costituitesi sin dalla prima· infanzia dominano e condi– zionano il comportamento soggetti– vo oggi proprio perché sono sfuggite ad ogni controllo conscio ed ogni consapevolezza d'uso. Ci troviamo qui di fronte ad un problema dal duplice aspetto: da una parte la di– namica di formazione di un atteg– giamento inconsapevole dall'altra il ~uo significato sociale. L'interpretazione che Reich dà della formazione del carattere come dell'insieme dei' comportamenti di– fensivi stereotipati e congelati a li– vello psico-neuro-musco lare riman– da direttamente e necessariamente al sociale. L'inibizione di cui l'assetto psico– neuro-muscolare si fa guardiano è sempre e comunque l'inibizione di un gesto, di un comportamento: di un agire sociale. Ma se l'inibizione a mettere una mano sul fuoco è un messaggio che com·unque mantiene la propria va– lidità per tutto il corso della vita (ed è evidentemente un meccanismo sano) l'inibizione ad affermare la propria soggettività, che ha avuto nell'infanzia lo scopo ben preciso di evitare una frustrazione od una pu– nizione, diminuisce progressiva– mente la propria necessità che con l'età adulta dovrebbe scomparire o per lo meno funzionalizzarsi alle necessità di un modo di vita adulto: quando ciò non avviene, ed è la norma, comportamenti ormai im– motivati dalle circostanze presenti si ritrovano all'interno del carattere e costituiscono il sintomo di un disa– gio permanente ad inserirsi sogget– tivamente nel sociale senza soffe– renza. E' ciò che tecnicamente si defini– sce nevresi. La lettura politica di questo evento o serie di eventi ci pone d'altro canto di fronte ad una di– versa, preoccupante serie di inter– rogativi o peggio di certezze. Ci tro– viamo infatti di fronte al processo di_ interiorizzazione dell'ideologia do– minante cioè al passaggio dal suo dominio formale al suo dominio rea– le. La punizione di un gesto proibito, o la sua frustrazione comunque ge– stita, esprimono infatti il momento in cui il potere si dà forma, s'incarna nella figura di colui che punisce, as– sume una sua consistenza ricono– scibile proprio perché distinta dalla persona che ne è oggetto: questo è ancora dominio formale. Con l'au– to-inibizione inizia il processo che .,· ,.,..,.:.t~:.· ~ ~-· - ..... -. ' . -...: . - ... . · '::: \.: \ \\ \ ' . '·'. \, : .~ ·.,. \ ': \. '.-} \ . . J) • . ,_ ,•f. • ~ • ' :l :~·\-.'-- • o ' .,_ ........ _ ( Ì. v' .. ,;.i,· ~ ~'-~~ .~1:~::t... ·.\ ✓ \ condurrà al perfetto dominio reale dell'ideologia dominante su tutti e su ciascuno. Gli agenti di tale pro– cesso, che se ne possono spartire equamente l'irresponsabilità, sono la famiglia, gli insegnanti, i preti, i poliziotti e tutti coloro che con la seduzione e/ o con la punizione sono riusciti a deviare il soggetto da un atteggiamento sano di trasparenza, di responsabilità, di autoafferma– zione non distruttiva sino a farne la carcassa malandata ed impaurita che noi oggi conosciamo: nessuno lo ·reprime più ma egli ha represso se stesso a tal punto che per farsi ac– cettare non sa più niente di sé, non si ricono ce, egli è l'irresponsabile ed il manipolatore, il persecutore ed il perseguitato, il falsificato ed il fasi– ficatore egli è il sacco a pelle empio di ogni ideologia d'acqui to di ogni briciola mistificata di senso comune egli è colui che cerca il proprio senso fuori di sé perché ha ormai perso o gettato le chiavi della stanza interna, del nucleo, della propria verità: egli è l'oggetto del dominio reale. Ma ciò che è inconscio, ineviden– te, ai no tri occhi pesso non lo è agli occhi degli altri. Ciascuno reca sul corpo la mappa delle proprie fru– strazioni, delle proprie pene: in un muscolo contratto in un gesto inna– turale, nella mano sudata o fredda che vi p'orge, nel orriso smorfia che gli deforma il volto, nella sua voce te a a un pas o dalle lacrime che non lascia sgorgare, anche se lo vuole, perché non ne è più capace. L'inconscio è ciò di cui neghiamo l'evidenza anche e è otto gli occhi di tutti in/espres o, presente sotto mentite spoglie in ogni ge to, l'in– conscio è la convenienza inalienabile su cui si regge l'esistente. L'incon.scio è ciò di cui abbiamo paura è la paura stessa priva del suo oggetto, la paura del ge_stoche non abbiamo avuto il coraggio di commettere. L'argomento trattato in questo articolo necessita, sia per il carattere di novità di alcune affermazioni, sia per la necessità di approfondire le conseguenze sul piano sociale e personale di uno spazio evidentemente più ampio. Ciò ha determinato lo stile adottato che non vuole essere esplicativo ma si limita, in questa sede, a suggerire al lettore un'ipotesi possibile per una rivoluzione ulteriore. Luciano Marchino

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