RE NUDO - Anno IX - n. 63 - marzo 1978

Macondo è tutto rose e fiori L'hanno chiamato Macondo, come il paese sudamericano inventato da Ga– briel Garcia Marquez in "Cent'anni di solitudine", dove coesistono sogno e realtà. Il Macondo, dove convivono omosessuali e drogati, travestiti e punk, fricchettoni e gay, è un labirinto, una suite ordinata di cortili di marmo e di giardini, attorno ai quali s'aprono ca– mere di un lusso incredibile, con alte porte che montano fino al tetto altissi– mo, dipinte di fiori, di stelle, di arabe– schi. Mollemente adagiati su cuscini variopinti, sparsi qua e là nelle sale del gigantesco bazar, la fauna locale con– sumava tè alla menta delle qualità più esotiche e pregiate, ananas, rossi coco– meri del Senegal, lingue di pappagallo, gelati e champagne. L'aria è profumata ed erotizzata. Alle pareti minuscoli specchi e vetri colorati incassati in dentelli di stucchi. Entrare al Macondo non è difficile. Basta acquistare una tessera bianca e rossa che costa trenta– mila lire. Avanziamo, per la verità, con _ una certa circospezione, una vaga in- quietudine, tra questi saloni arabescati, in questo luogo che più che "alternati– vo" è veramente altro. Tremendo! Qui succedevano cose dell'altro mondo! Una mamma non potrà mai più stare tranquilla dopo aver saputo dell'esi– stenza di luoghi cosi incredibili, nel cuore di Milano. Ma cosa vogliono questi massimalisti del vagabondaggio mentale, non basta aver fatto piangere la Madonnina sul Duomo di Milano l'anno scorso? Beh, questo è veramente un altro pianeta. E' il paradiso della droga. Lassù, su quei giardini pensili, sospesi in aria, come per magia, pas– seggiavano i fondatori, gli ex santoni della contestazione studentesca e i rappresentanti del :radical-chic1 mila– nese. Passeggiavano con lunghe barbe bianche dove si annidavano cavallette e grilli parlanti. Venivano anche i poeti, poeti per la verità un poco sbalestrati, anzi sbalestrini, e c'era l'ala creativa, i duri con giubbotti di pelle, i "fighetti" e– pure gli intellettuali del "dissenso" av– volti in ciaffi e camicie americane. Per dovere di cronaca, diamo pure un'oc– chiata al giardino. Una folta vegeta– zione di canapa indiana, una coltiva– zione curata da contadini che venivano pagati novantamila lire al giorno. Nel mezzo delle ortiche allucinogene un'orchidea solitaria, pronta a cadere in polvere non appena la sfiori. Tre– mendo! E' un posto stregato. E pensa– re, mentre un nodo di angoscia ci stringe alla gola, che è qui che venivano i nostri ragazzi! Ci inoltriamo nel giardino. Qui i limoni giganteschi, i banani lussuriosi, i mistici gigli, i papaveri balbuzienti, la datura, · l'erba voglio, i gerani, le margherite svergognate, i rustici peperoni, le livide melanzane, la mandragora immonda e la cicuta maledetta, il prezzemolo dei sogni e il basilico lascivo, la pera turgi- ~IU' LE MANI DA MAC.ONDQIPORTIAHO C.ONDQ IN TUTTA LA C..ITTA') :~~~~.~.~~.~iwo.w ' LA POLIZIA tlEt.LA NOTTE DS.l 22-2.18 HA FATTO IRRUZfO~E, PISTOLE, n1,.RA E MAN4~ NcLLI Al.LA nANO, A t"\AeONbo. - t)OPO 3 ORE !)I PERnANENZA ~E NE E' ANl:)ATA PO~TANOO IN GAL.ERA 11 ,oMPAqNI, TRA I CilVALI I 13 U:>l'1PAGN1 CHE ...ANNO FOMDATO MAC.ONOO, RE NUD0/9 da, sospetta, e la morbida susina. E tutto questo ha un odore strano, e s9uilla e verdeggia come i fiori che pendono dall'alto delle terrazze. Sulle terrazze, proprio come avviene nei lo– cali "maledetti" di Nuova York e al Paradise di Amsterdam, la chiesa sconsacrata per hippies, vi sono delle alcove. Il Macondo era definito "luogo di ag– gregazione". E' meglio diffidare delle formule. Non va dimenticato che negli stanzoni fumosi del Macondo sono passate delle storie, delle vicende, delle fragili desolazioni _che il cronista, per pudore, per onestà e per chiarezza, tende ad allontanare da sé come corpi estranei. Del resto, non è difficile im– maginare, vedendo le alcove, un in– treccio caotico di rituali chic e di soli– tudine, anche se la saracinesca è ab– bassata. Tremendo! L'angoscioso cammino proibito comincia cosi: il breve oblio ha spesso l'incubo come approdo. Ripeto: il breve oblio ha spesso l'incubo come approdo. Il peri– colo è questo. E' inutile parlare di in– terviste. Proseguiamo tra bacche di ro– se canine, nei labirinti di questa specie di scuola di avviamento ai funesti pa– radisi artificiali ipnotici. All'incrocio di due viali c'è una fonta– na, una vasca di marmo rosa, una stella di_ tufo smaltato. Da essa sgorgano litri e litri di tremendo solforoso acido li– sergico, un getto che ruscella e bagna i marmi maestosi, traboccando in im– mense vasche, Stupefacente! Innume– revoli colombe di luce, che sembrano appena sbocciate tra le mani del Crea– tore, vanno e ·vengono sui pavimenti riscaldati dal sole. In questo silenzio inabitato }a loro passeggiata nobile e tubante fa «ma-con-do ....ma-con-do», proprio come fanno i piccioni di piazza Duomo. Ma qui l'aria è pesante: nel– l'aria torbida ristagna ancora il fumo delle Gauloises che si mischia all'odore acre degli spinelli all'erbaccia. L'aria profumata ed erotizzata si trova infatti solo nelle sale del ristorante dove si mangiavano ananas e piatti macrobio– tici, serviti con ossequio da camerieri alti, biondi, rivestiti di caftani intessuti d'oro e di gemme preziose, e con in testa grandi turbanti sui quali ondeg– giava, ossequiosa, una iridescente piu– ma di struzzo. I camerieri sturavano migliaia di bottiglie di champagne per notte, sturavano con squisita perizia le bottiglie - il cui tappo, com'è noto, fa PLOP! - e poi s'inchinavano oss~ quiando con eleganza, facendo larghi gesti con le mani inanellate di r:ubini e r. )

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