RE NUDO - Anno IX - n. 63 - marzo 1978

RE NUD0/32 UN'INTERVISTA IMPOSSIBILE Dalla Cambogia ·conamore Data la scarsità di notizie che trapelano in occidente da questo paese, anche una piccola testimonianza diretta può inte– ressare. Si tratta di un colloquio avuto· da me a Phom Penh meno di un mese fa col mio migliore amico cambogiano. Consapevole del fatto che in questa occasione attraverso di noi parlava la Storia, ho infilato nella tasca della sa– hariana un mini-registratore che mi ha permesso di fissare per sempre tutte le sfumature di questo colloquio complesso e rivelatore. Ma è meglio che spieghi prima l'ante– fatto. Proprio quando scoppiava la guerra in Vietnam io entravo in Cambogia pieno di entusiasmo e di curiosità. Per mesi e mesi ho vagato di villaggio in liii/aggio aprendomi alla meraviglia delle scoperte e alla seduzione degli incontri; attraver– so dissenterie maligne e recidive febbri malariche mi andavo adattando al forte clima tropicale, e senza accorgermene avevo imparato la lingua kmer. Facevo parte di quella prima ondata freak che, al seguito di Ginsberg e della Fernanda Pivano, occupava .l'Asia in cerca di Nuove Dimensioni di Vita. La mia nuova dimensione finì col chia– marsi Kadlr, parola magica al cui suono rispondeva (sempre un po' in ritardo, per la verità) un modesto servent di sedici anni con lo sguardo impenetrabile di un budda e la trasformistica capacità di farmi da mamma, da amico, da schiavo ribelle, da maestro e da allievo. Dopo una movimentata saison invernale nella capitale, ci ritirammo insieme in una grande casa tradizionale in monta– gna, un vero chalet pagodeggiante (af– fitto lire trentamila al mese).Lì venivamo, come si usa diré, uno dell'altro. Circon– dati da quello spendido giardino che è la natura in Cambogia (in ogni caso aiu– tata da un giardiniere affittato automa– ticamente con la casa),fumavamo le due principali droghe locali, mangiavamo i frutti di quella generosa natura (avete mai assaggiato manghi e papaie appena . colti da/l'albero, o l'anitra selvaticafatta alla tonchinese?), eravamo invitati a tutti ifestini degli agricoltori della valle ·b 1otec ed erano sempre feste con suonatori e danze... Insomma ce la passavamo niente male. E fu così che iniziò una specie di meta– morfosi: io mi muovevo, pensavo, sentivo come un ragazzo kmer e lui invece assomigliava sempre più a un freak italiano. Mentre io andavo imbarbaren– do nei gusti, nel gestire, nei rapporti con gli altri... lui aveva iniziato a dipingere, a suonare ilflauto, perfino ad amare i cani (che lì vengono sempre presi a calci senza una ragione oltre a quella di essere cani). Alla fine lui diventò autoritario e pre– suntuoso come un occidentale, e io mo– desto efatalista come un asiatico. Poi venne il colpo di stato militare, e il re ed io dovemmo andarcene. Fu un mo– mento straziante: col cuore a pezzi ab– bracciai Kadlr che veniva trascinato via da due gendarmi e rinchiuso in un lugu– bre carcere di pietra costruito dagli inglesi. In quell'ultimo mattino passato insieme nella hall della gendarmeria io non ero più quello di prima e anche lui era visibilmente distrutto. Cercai in tutti i modi di resistere a/l'espulsione che ine– sorabilmente ci allontanava per sempre, ma invano. Era come diventar morti uno per l'altro. Non avremmo potuto scriverci,perché la posta funziona solo per i ricchi che abitano in strade cqn un nome, per i poveri è impossibile, mancano d'indiriz– zo. Kadlr ayeva sempre espresso una sua volontà: qualora io fossi partito~ lui sarebbe venuto via con me. Ma non avevamo fatto i conti con la burocrazia, che negava il passaporto a tutti, esclusi i ?1eniaminidel regime. E finimmo a dodicimila chilometri di distanza, separati dalla Politica e dalle Guerre Internazionali. Ma l'uomo non è fatto per arrendersi. Proprio quando tutti gli elementi istitu– zionali congiurano per separare chi era unito, scatta la molla de/l'iniziativa personale. Non posso però rivelare come mi sono procurato le benemerenze che mi hanno permesso di rientrare, io unico giornalista occidentale, per qualche giorno in Cambogia, una nazione ormai chiusa per sempre al mondo. Sta di fatto che ho rimesso piede a Phnom Penh sconvolta dalla rivoluzio– ne. Ma è il momento di cedere laparola alla registrazione. - Qui dove siamo? Non riconosco più nulla... - - E' l'Avenue Battambang. Qui c'era Sighis, dove non mi lasciavano entrare. - Non è rimasto più niente. Tutto sta crollando...e le piante ne approfittano ... crescono dentro alle case in modo mo– struoso... - - Si, tra dieci anni la nostra capitale sarà di nuovo giungla. - - E non ti rende triste questo spettaco– lo? - - Triste ...perchè? E' il segno della vittoria dei contadini sui cittadini. - - Qua... c'era l'ambasciata americana, con i marines in guanti bianchi... - - E i mitra, i bazooka, i carri armati, i bombardieri ... - - Che carneficina dev'essere stata. Ci sei passato anche tu in questo bagno di sangue...- - Sl. E mi ha molto maturato. - - Tutta la·gente qua dei negozi chefine hafatto?- - Durante la guerra i negozi erano chiµsi. I commercianti sono scappati in Tailandia, o hanno preso le armi contro di noi. - - E quelli che non sono scappati adesso dove sono?- - Mio nonno mi raccontava che alle sorgenti del fiume Mun c'era una stra– na qualità di viti: nella parte inferiore che esce da terra il fusto er~ rigoglioso e robusto, di sopra invece erano donne, a partire dai fianchi. Dalla punta delle loro dita nascevano i tralci pieni di grappoli e anche in testa avevano per capelli viticci, foglie e uva. Quando i turisti si avvicinavano, li accoglievano cordialmente salutandoli in tutte le lingue. Non solo, ma li baciavano sulla bocca: chi veniva ba– ciato però subito si ubriacava e cadeva in una specie di delirio. Ma non lasciavano cogliere i grappoli, perchè a loro faceva male, e strillavano quando qualcuno glieli strappava. Erano sempre disponibili per fare l'a– more: ma una volta accostati, i maschi non riuscivano più a·liberarsi, rimane– vano attaccati per il kip e cominciavano a mettere gemme e radici.- Le dita diventavano tralci e, stretti in un unico

RkJQdWJsaXNoZXIy