RE NUDO - Anno IX - n. 63 - marzo 1978

Intervento di Stefano di Viola ali' assemblea di sabato Alcune brevi cons1cteraziomsu questo raduno, su cosa sta accadendo, su cosa noi, comp. che l'abbiamo proposto ed organizzato, ci aspettavamo. A tuttora l'aspetto prevalente di questo raduno mi sembra che stia nella regi– strazione dell'assenza di un'identità collettiva. Come tutti noi, quotidiana– mente possiamo riscontrare nella pra– tica, anche in questo raduno (non vedo perché debba esserci un 'eccezione) prevale la difficoltà di stare insieme, di trovare insieme un progetto di soddi– sfazione dei bisogni e dei desideri; prevale la difficoltà di una RAGIONE collettiva di trasformazione del mondo. Questo raduno si pone quindi in un punto critico della storia del 'movi– mento' in cui ogni presupposto fin'ora ritenuto assodato e postulato, cade. Noi non possiamo essere pregiudizial– mente convinti di farcela, di vincere di trasformare definitivamente lo stato di cose presente a nostro favoi:e, nè pos– siamo affermare, pregiudizialmente, il contrario. La fase critica, difficile, in cui ci troviamo consiste, al contrario, proprio in questo, nella necessità cioè di verificare lepossibilità che abbiamo di determinare delle modificazioni. Noi oggi in questo raduno dobbiamo decidere (non necessariamente in mo– do collettivo) e capire quali strade, quali possibilità abbiamo di fronte.: Nulla può essere dato per scontato. Tantomeno che la strada da seguire debba essere necessariamente una per tutti. In questo raduno, nella giornata di ieri in.particolare, proprio su questa faccenda dell'identità collettiva si è prodotta una spaccatura verticale, che apre la possibilità di esaminare più in profondità un altro problema decisivo: il problema del Potere, della sua mate– rialità, e dei diversi livelli e forme di complicità che ognuno di noi ha con esso. Intendo dire che nell'andamento stesso della giornata di ieri, trovo verificato ciò che molti di noi pensano da tempo e cioè che vi è uno stretto nesso tra avvenimenti politici macroscopici, e molteplicità delle forme particolari di disciplinamento della vita quotidiana. Ovvero: la natura e la forma del Potere, rendono vani tutti i tentativi di modifi– cazione della realtà, fondati su presup– posti 'sociali' astratti, che non tengono in conto le diversità materiali tra gli individui, tra le loro vite quotidiane, delle forme specifiche di disciplina– mento spazio-temporale, complicità alla Norma. Se non teniamo presente tutto questo, nei nostri progetti, non potremo che ricostruire unità terribili mai identità collettive differenti. In una lettera aper– ta agli operai, pubblicata gioni fa da Lotta.Continua, avevamo scritto che il nocciolo della questione sta nell'indi~ viduare il nuovo terreno di scontro con il Potere nella sua forma molecolare, nella sua microfisica di piccolo ordine della grande esperienza quotidiana. Per questo, la possibilità di ricostruire momenti collettivi di lotta e di orga– nizzazione sta nella necessità ora di sviscerare le contraddizioni, nel rico– noscere le reciproche diversità. La Politica non consente tutto questo. Essa si sta dimostrando sempre più come il punto medio della Coesistenza Sociale, Linguaggio del Potere nel proprio processo di autovalorizzazione, e di dislocazione nel tempo e nello spazio delle proprie contraddizioni, dei propri punti di crisi. lo credo che nel Politico, si parli ancora il linguaggio del potere si, codifichino le rotture molteplici alla Disciplina della vita quotidiana; si codifichino le rivolte particolari, i nodi d'emergenza di ciò che è 'storicamente' sconosciuto. Questo perché nel Politico i diritti della 'trascendenza' sono lasciati sempre in- RE NU00/17 tatti, imponendosi come costruzioni morali esterne, leggi del Positivo, del Dover-essere la cui attenzione è sempre una posizione dell'essere che ha il pro– prio fondamento in un passato separa– to. Il problema che dobbiamo affrontare, allora, è il seguente: individuare il luogo e le modalità delle 'rotture rivo– luzionarie' dei meccanismi di produ– zione del Sapere-Potere. E la questione del rifiuto del lavoro, è un po' come l'acqua che scorre sotto alla porta. E' cioè la questione della presenza contemporanea in tutti noi, del bisogno ricco di rifiutare la Disci– plina complessiva della vita quotidia'– na, a partire dal rapporto che ognuno di noi ha con il lavoro come necessità di sopravvivere. Perchè è proprio sulla necessità del lavoro sfruttato, come unica possibilità oggi di sopravvivenza, che si fondano ed hann_oorigine le nostre piccole ma decisive complicità con il Potere, la nostra subalternità alla sua Disciplina come unico modo di organizzare la vita. La possibilità allora di poter discutere che cosa è oggi il movimento, che pos– sibilità ha di vincere, non può ché partire, quindi, che dalla discussione aperta e sincera dei problemi che nella vita di ognuno implica la contraddi– zione tra tempi lunghi dello scontro e della 'lotta di classe', e tempi brevi di autoriproduzione e valorizzazione del lavoro sfruttato e della disciplina del Quotidiano, imposti dalla necessità della sopravvivenza. lo ritengo che la possibilità di garantirsi una chance di 'vivere oltre' stia selo nella rottura della 'consuetudine esi- stenziale'. '

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