RE NUDO - Anno VII - n. 40 - marzo 1976

21 S. VITTORE - DONNA LA LOTTA DIETRO LE SBARRE Le donne scendono in lotta anche nel carcere. Questi documenti che abbiamo ricevuto e dei guaii pubblichiamo ampi stralci, sono un primo segnale. E fondamentale che il movimento non sopravaluti la forza e la coscienza di questo embrione di movimento che cresce, è anche altrettanto importante seguirlo e sorreggerlo con particolare attenzione e impegno perché non si spenga. Sei anni di esperienza nel movimento dei detenuti ci hanno insegnato che è facile "bruciare" dei compagni e che è altrettanto facile scoraggiarli o ancora abbandonarli alla repressione. Nella lettera di accompagnamento c'era scritto: " ... eravamo per la prima volta unite e solida– li ... ". Bene, compagne noi vi auguriamo buon lavoro e vi diciamo che siamo qui; impegnati ad aiutarvi al massimo delle nostre forze, nelle forme e coi metodi che di volta in volta insieme ri– terrete opportuni. S. Vittore È stato detto che il carcere è una struttura di rieducazione e di reinserimento sociale e che tutto quello che succede è DISFUN– ZIONE dentro questo progetto. Chi lo vive sulla sua pelle invece, capisce immediatamente che lutto è funzionale al vero progetto: LA DISTRUZIONE DEL DETE– NUTO DAL PUNTO Cl VISTA FISICO E SOCIALE. Dentro questa logica S. Vittore è un carcere modello e la sezione femminile è la punta avanzata. 1 È già stato denunciato come le donne siano emarginate nella vita sociale e libera, isolate nel seno della famiglia o sul marciapiede, addirittura sfruttate nel reato. È stato detto poco invece dell'isolamento sociale che una detenu– ta vive dentro le mura del carcere. Facendo leva sulla cosiddetta NATURA FEMMINILE, per definizione Intesa come isteria, prepo– tenza, asocialità ... , l'intera STRUTTURA del carcere (celle, suo– re, secondine e direzione) costruisce intorno ad ognuna un cer– chio di maldicenze, provocazioni, intimidazioni. E quindi prima di esprimersi politicamente la rabbia e l'odio accumulati devono rompere questo cerchio. L'ignoranza, l'inesperienza, la timidezza, il MITICO CONCETTO DEL POTERE sono ostacoli insormontabili per questa "prima libe– razione". Ma per questa conquista servirebbero strutture, che già in altre carceri sono patrimonio delle conquiste delle lotte dei de– tenuti. Alle donne invece non è concesso nessun momento comunitario: a S. Vittore non esiste nessuna sala comune, nessuna possibilità di mangiare in compagnia fuori dalle celle, nessuna biblioteca in cui poter leggere e studiare, nessuna sala TV, nessuna struttura ricreativa o sportiva che permetta un qualsiasi "gioco" di gruppo. Quindi la tanto vantata "socialità di recupero" non ha modo di es– sere nemmeno sperimentata, anzi, si boicotta sistematicamente ogni tentativo che vada in questo senso. Si tende ad instaurare un regime di tensione alla sopravvivenza, e anche questa risulta spesso difficile. Le donne non hanno nemmeno un dottore fisso: il 1 O febbraio una detenuta cardiopatica da tempo, ha avuto un attacco di angina. È stata trattata come una NEVRASTENICA CON PROBLEMI PER– SONALI. Il dottore era "impegnato" ed è arrivato dopo un'ora. E questo pur ammettendo che le donne, sempre grazie alla loro NATURA, sono frequentemente soggette a svenimenti. Da quel che si capisce però questa natura coincide con la FATICA dei la– vori di routine, che le detenute prive di mezzi si sobbarcano, evi– tando così la funzione di personale costoso. Per questo lavoro massacrante ricevono un salario (?) di 22.000 lire al mese. È la stessa puntura per tutto, non si sa cosa sia, ma che importa, poi si dorme! Il 21 febbraio è stata necessaria la protesta di tutte le detenute per ottenere il ricovero in ospedale per una ragazza in preda a continue crisi "epilettiche" da sospensione di droga. Du– rante le 4 ore di attesa ha avuto una quarantina di attacchi: alla fi– ne collasso continuo e momentaneo arresto cardiaco. Detto questo, è chiaro quanto senso abbiano qua dentro le prote- ste umanitarie di chi invece è complice se non RESPONSABILE del trattamento e di quanta speranza si riponga nella "solidarietà esterna" delle SEDICENTI strutture democratiche. Sappiamo che da queste più che un muro bianco al posto di uno incrostato di merda, o un cesso in più non avremo. La riforma ce la fanno vedere come un progetto fantastico, senza senso se applicata a strutture vecchie. Con questa scusa comun– que tolgono anche ciò che non presuppone nessuna struttura: celle aperte, orari diversi, socialità, possibilità di studio e sport ... Questa "democratica riforma" progettata solo per costruire un freno demagogico al crescere del movimento dei detenuti in tutte le carceri ora viene usata come obbiettivo da far inseguire e quin– di quale direttrice delle lotte attuali! Anche dai riformisti di sinistra non sappiamo proprio cosa spera– re: sono troppo tesi a capire i meccanismi di potere e anzi ad in– serirvisi. L'unica forza dunque, per le donne, qui come ovunque per i prole– tari emarginati, è quella che loro stesse riusciranno ad esprimere, facendo saltare la repressione e l'emarginazione che le ha "chiu– se" per tutta la vita. Lottare in questo senso è il solo mezzo "per affermarsi" come forza, per imporre comunque il rispetto di QUEI DIRITTI PRI– MORDIALI che, anche a un detenuto, devono essere garantiti: la VITA, intesa come insieme di esperienze sociali, culturali ed umane. In questo senso, abbiamo già costruito una assemblea funzionan– te (le scelte da essa prese verranno propagandate con un apposi– to documento pure inviato alla stampa). "Le nuove STREGHE di San Vittore"

RkJQdWJsaXNoZXIy