RE NUDO - Anno VI - n. 36 - novembre 1975

elementinuovi nel dibattito e nella lotta. Ho già accennato prima ad un fatto su cui ml intere11a lnsl1tere: Il mutamento dei rap– portitra le delegate e le altre lavo– ratrici.Prima c'era una frattura: ad e11mplo lo_ mi sentivo diversa, superiore, mi sembrava che stare a parlare di vestiti e di. trucco fo888una perdita di tempo. Ora Invece mi trovo bene con le mie compagne di lavoro: mangiamo, cl trucchiamo Insieme, parliamo divestitie ml sono resa conto che que1te cose non è che non mi piacciano, è che prima le conside– ravocosestupide, cose da donne. E poi ora loro mi aiutano nel pre-· parare le a99emblee, mi appog– giano e possiamo discutere alla pari. G. - Per concludere un po' la storia del nostro ·collettivo, c'è ancora da dire èhe, da quando i gruppi di autocoscienza sono par– titi, ci siamo occupate soprattutto di medicinadella donna; adesso ci piacerebbe che ognuno dei quattrocollettivi approfondisse un terQa per un po' di tempo. Nell'im– mediato abbiamo un'esigenza urgente: trovare una sede. L. - Il nostro collettivo alla Fabbri ha una storia molto più breve. Durante la campagna per la raccoltadi firme per il referendum sull'aborto, avevo voglia di rac– cogliernein azienda; sono andata al Partilo Radicale per informarmi. e, tramite loro, mi sono messa in contattocon delle compagne che alla Garzanti si erano organizzate in collettivo.Ho cercato altre.com – pagne disponibili ed abbiamo for– mato un comitato per la raccolta delle firme: io non ero ancora del ata, alcune altre lo erano, in t eravamo una quarantina. amo fatto delle assemblee di durante l'orario di mensa. -llonabbiamo discusso sull'a– molto a fondo: pensavamo legallzzazione è una cosa , Chele donne devono poter re se abortire o no, e che i I di legge che ci sono non ci bene. Il llvello di partecipa- In questa fase era piuttosto • 11 comitato si è trasformato mente siàmo in otto, con una riu– nione alla settimana, la sera. Abbiamo notato che le altre nòn vengono ad una riunione così fuori dell'orario di lavoro, ma si impegnerebbero in un lavoro con– creto in azienda. Così abbiamo distribuito un questionario, però dalle prime risposte ci siamo accorte c;he alcune domande erano mal poste, ed inoltre che c'è una grossa resistenza ad ammet– tere anche in un questionar.io del tutto anonimo, di avere dei problemi sessuali. Intanto ·nel gruppo di noi otto ci sono due posizioni; quelle che vogliono fare un lavoro di chiarimento nel pic– colo gruppo, prima di tentare di coinvolgere altre donne; quelle, tra · cui io, che vorrebbero fare le due cose contemporaneamente. Infatti penso che sia giusto riflettere su· cosa vogliamo fare, ma c'è tra le altre lavoratrici una grossa urgenza di almeno una minima informazione sugli anticoncezio– nali e problemi simili. Inoltre non vorrei che fare solo autocoscienza finisca per chiuderci in un ghetto, e ci renda incapaci di comunicare èon l'esterno. Tra l'altro a me è successo che, senza fare auto– coscienza, solamente parlando con le altre donne, interessandomi· ai loro problemi, il mio atteggia– mento verso di loro è campiate: · prima mi vedevo quasi solo con uomini, e le donne mi sembravano stupide con i loro discorsi di casa, bambini e abbigliamento; ora invece sono contenta che mi sia nata l'esigenza di parlare con le donne. Così mi sembra molto importante fare qualcosa insieme alle altre, comunicare con loro .. A. - Secondo me è un errore voler andare dalle donne che hanno un livello basso di emanci– pazione a chiedere delle cose su ·cui tu stessa non hai chiarezza. Perché se una ti dice: «E dopo aver parlato, cosa si fa?», cos~ le rispondi se non avete pnma approfondito tra di voi? L. - Noi non vogliamo dare la linea alle altre donne, ma solo for– nire loro maggiori strumenti. vo femminile; non femmi– qufsto perché non ci fos– evenzlonl e non sembrasse leaalmo contrapporci agli , quel che cl Interessava era . Il punto di vista delle donne A. _ E' sbagliatò fare l'intervento per le altre, perché anche tu sei una donna: non si deve prendere l'atteggiamento della missionaria. Anche tu, e noi, subiamo le stesse violenze e gli stessi condiziona– menti delle altre, anche se slamo più emancipate. aternltà, l'aborto ecc. Ci anche lncontr,ate con delle ne del collettivo lemmi- di Lambrate, che cl hanno nascere Il librettino sugli Cezlonall, quello rosso del :u11po di medicina per le danne e 0 Gblamo venduto In azienda. a opp ~ef11rie, a vederci stabll- · L _ lo non farei mal auto– c~sclenza 1010 per me. Vorrei lavorare perché le donne si sensl– blllzza99ero maggiormente e face,sero più politica. A- Ci siamo accorte che parlare di problemi generali della condizione femmi– nile non serva; non fa crescere; l'ioformazione non è sufficiente per coinvolgere in prima persona. E poi non c'è contraddizione tra approfondimento nel gruppo e rapporto con le altre donne. Anzi, io sono più attiva anche sindacal– mente, .ora che tacciò auto– coscienza, perché non subisco, ma faccio· la politica. S. - Anch'io sono del collettivo della Fabbri e sono d'accordo che non basta fare propaganda tra le donne, bisogna sapere che ci sono esigenze personali, specie tra quelle che non hanno fatto mai politica prima. Per questo penso che l'autocoscienza sia necessa– ria. Così pensiamo di chiedere un corso di 150 ore in azienda, auto– gestito dall'e donne e strutturato in lavori di gruppo liberamente scelti, anche autocoscienza. flE~.... St"": so,.,o \JIIA DOl<INA-! Pt"«c"4r"?! e•«~ QlfM-C,O$A c~f'" NON · "' vA l??? I .. A. - Anche noi come commis– sione femminile della lega, abbiamo chiesto un corso di 150 ore autogestito dalle donne, da tenersi sul _luogo di lavoro. N. - Lavoro in una società di ricerca di mercato, è un lavoro molto monotono, ci sono da fare somme e registrazioni tutto il giorno, forse per questo le impie– gate sono solo donne: gli uomini hanno fatto tutti carriera. Sono delegata dei CdF e fino a due anni fa questo mio ruolo voleva dire essere quella brava, di cui le altre si fidano, che sa parlare: tale e quale nel fatti a un uomo. Con la mia. presa di coscienza femmi– nista, un paio di anni fa, è scop– piata la crisi: non reggevo più il peso della mia doppia faccia - femminista nel collettivo e nell'au– tocoscienza, delegata e militante politica al lavoro. Cosi ho comJn° clato a parlare In ufficio del miei problemi, a mostrare alle altre donne ·1emie debolezze e le mie paure; è stato duro togliersi la maschera della «politica brava quanto un uomo». Cadeva la fidu– cia verso di me, molte· ml disprez– zavano, si vendicavano della loro 47 inferiorità di prima, deridendomi e ditruggendomi psicologicamente. Tutto questo però è servito: sui miei casini abbiamo cominciato a discutere durante l'ora di mensa, si è formato una specie di gruppo. Queste riunioni sono poi andate avanti regolarmente, si discuteva partendo dai nostri rapporti sul lavoro. Veniva anche una «capet– ta», una figura sempre presente nelle ditte dove lavoravano donne. Il suo compito è conquistarsi la fiducia delle altre e praticamente fare la spia al capo vero, sempre uomo, ché in premio le da una posizione di responsabilità e privi– legio rispetto alle altre. Questa donna viveva male il suo ruolo, c'i diceva che non riusciva·più a para lare di sè, si sentiva sola. Altre donne del gruppo nori parlavano mai; una diceva spesso, troppo spesso, di non aver problemi, di stare bene, di essere soddisfatta. Si è discusso anche molto di auto– coscienza. Questo gruppo conti~ nua a riunirsi una volta alla setti– mana, ma sentiamo l'esigenza di vederci più spesso. Per me l'e~ sistenza del collettivo è stata molto. Importante rispetto alla schizofre– nia che vivevo in quanto delegata, avanguardia; ora le mie due facce cominciano a ricomporsi: le altre mi hanno molto aiutata, non vivono più il bisogno di delegare a me le responsabilità, prepariamo insieme gli interventi, discutiamo le posizioni da tenere in Consiglio. Per quanto riguarda le altre donne della ditta, quelle che non parteci– pano al gruppo, abbiamo inten– zione di fare un lavoro capillare di informazione e di educazione ses– suale.È importante creare con le altre solidarietà, solo attraverso la consapevolezza di problemi comuni il nostro gruppo relativa– mente ristretto potrà allargarsi. Tutto ciò è possibile e si è visto quando C'è stato bisogno di~fare collette per aborti, o lottare còntrci l'icenziamenti e la messa a part-time di alcune donne. C'è tra di noi una grossa voglia di fare· qualcosa di pratico, di vedere i risultati della nostra presa di coscienza materializzati in un con– sultorio o in qualcosa di analogo. Questo non è negativo, ma ci ren– diamo conto che uno sbocco pra– tico immediato rischia di tagliare via l'autocoscienza e di non modi– ficare realmente la nostra condi– zione. Il disagio più grosso lo avvertiamo nei rapporti politici e sindacali con gli uomini; spesso non siamo In grado di formulare e imporre una impostazione femmi– nista sul problemi sindacali. Per noi il nodo da sciogliere ora è: e_siste la possibilità di sintesi tra la nostra presa' di coscienza femmi– nista e Il lavoro strettamente poli– tico e sindacale?

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