RE NUDO - Anno VI - n. 36 - novembre 1975

46 Femminismo e lotte di fabbrica sbhJzofrE~nia o ricomposizione? E~perienze dì tre collettivi d'azienda Fino a non molto tempo fa a Milano c'era una netta frattura tra i gruppi femministi e le altre attività politiche di donne. La cosid– detta 'questione femminile' era vista nelle organizzazioni della sinistra di classe,. anche dalle compagne interamente coinvolte nel tradizionale modo di far politica, come uno dei tanti temi di lottà e neanche tra i principali. «Il problema della donna si risol– verà nel socialismo»: tendenzialmente era questa la posizione che emergeva dai gruppi; le femministe erano giudicate delle piccole-borghesi al di fuori della lotta· di classe. Il sindacato da sempre si ricordava delle donne l'otto marzo o genericamente all'interno di rivendicazioni nel sociale. Ora la situazione è net– tamente cambiata: il femminismo ha incominciato ad influen– zare molte donne, sia già politicizzate che non; soprattutto per noi che -militavamo nelle organizzazioni, è stato proprio il disa– gio sempre crescente che ci ha reso poco per volta consapevoli che la nostra condizione di donne ci apriva grosse contraddi– zioni proprio rispetto allo stesso modo di far politica. Cosi è ini– ziato un nostro graduale processo di avvicinamento al femmi– nismo. All'interno di questo processo è stata importante per noi la formazione spontanea di collettivi di donne nei luoghi di lavoro, che ormai esistono in molte situazioni. Tutte avevano l'e– sigenza di incontro e ·confronto tra noi e con le altre compagne femministe, così abbiamo cominciato ad andare alle riunioni al CRMP, al venerdì sera. E' un po' il coordinamento di tutti i col– lettivi femministi di Milano. Abbiamo cominciato a raccontarci alcune esperienze per confrontare le diverse strade percorse. Il collettivo femminista del Centro Direzionale è nato quasi due anni fa: alcune compagne delegate dei Consigli di Fabbrica di diverse ditte, hanno cominciato a riunirsi perché sentivano l'esi– genza di affrontare la «questione femminile». Vivendo in una realtà di azienda il primo problema che si è loro posto è quello della donna che lavora. A. - All'inizio non era ancora un collettivo femminista: si parlava in termini generali come se non fo:,– sero cose ch_eriguardavano noi in prima persona. Anche noi come tanti altri collettivi di donne, abbiamo pensato che ora che sapevamo che certi problemi esistevano, bisognava trovare un modo perché anche le altre donne ne divenissero consapevoli; e lo strumento più adatto è sembrato il questionario. Così ne abbiamo distrìbuito uno: ne è risultato che la maggior parte delle donne era nella categoria dalla Il alla IV, mentre solo gli uomini facevano carriera. Il lavoro era vissuto dalle donne come monotono e senza responsabilità: questa critica non nasceva da un giudizio politico, ma rifletteva senza mediazioni ·un disagio. Sempre con lo stesso taglio, la discussione si è allargata a temi più specificamente femmi– nili, come donna e famiglia, asi– ~i-nido, aborto, il doppio sfrutta– mento della donna che lavora ih casa e in fabbrica. In questa fase il collettivo non era più formato solo di delegate, ma vi partecipavano anche altre lavoratrici e ci ritrova– vamo una volta alla settimana. Il primo risultato positivo è stata una maggiore facilità e immediatezza dì rapporti tra te delegate e le altre donne: ma il collettivo sì trovava un po' ad un punto morto. In occa– sione dell'otto marzo di quest'anno ci siamo incontrate con delle compagne dell'IBM, che avevano già formato un collettivo femminista. Noi avevamo prepa– rato un volantino sull'aborto, impostato come avrebbero potuto farlo i radicati; ce lo hanno criti- cato, ne abbiamo discusso ed è iniziata una presa di coscienza che non si appoggiava più a slogans, ma partiva dal nostro vissuto; così abbiamo cambiato il volantino (é lo abbiamo intitolato «Vogliamo l'aborto non vogliamo abortire») e per la prima volta ci siamo rico– nosciute in quel che scrivevamo. A qu·esto punto è stato spontaneo formare piccoli gruppi di presa di coscienza e cercare contatti con altri gruppi femministi, così abbiamo cominciato a frequentare le riunioni del venerdì sera al CRMP. Il confronto con le donne degli altri collettivi ci ha aiutato ad andare avantì. La nostra situa– zione di lavoratrici ci aveva portato ad affrontare per primi problemi che per molte altre femministe sono stati caso mai il punto di arrivo di una pratica anche lunga di autocoscienza; e cioè il rapporto con il sociale. D'altra parte ci siamo rese conto di avere una coscienza ancora iniziale e uno scarso approlondimento dei problemi cosiddetti personali. Certo, che ven1va più facile a noi che per la maggior parte siamo militanti di organizzazioni e comunque quasi tutte impegnate politicamente, affnmtaTe Il nostro rapporto con la politica. Abbiamo cominciato a renderci conto di aver sempre subito la politica, di esserci sempre sentite inferiori agli uomini e di esserci sempre fatte violenza per adeguarci allo stile richiesto dal militante: non cl riconoscevamo in quel che face– vamo ed eravamo alienate nel fare cose che passavano sistematica– mente sopra la nostra testa. Quando abbiamo cominciato ad avvicinarci al femminismo vive– vamo una profonda scissione tra il femminismo stesso e la «politica», quella «vera»; poi lentamente abbiamo preso coscienza che il femminismo è una espressione politica, anzi la nostra espressione politica. Certo non abbiamo smesso di lavorare anche nelle organizzazioni, nei CdF e nel sin– dacato: piuttosto è il nostro modo di starci che sta cambiando, man mano che diminuisce la schizofre– nia iniziale tra femminismo e politi– ca; se non altro è finita la paura di essere inferiore agli uomini, i com– pagni non sono pi_ù comunque i più bravi. c. - Ho delle perplessità rispetto al modo di fare politica nelle organizzazioni, ci ho provato e ci provo tuttora, ma mi accorgo ogni giorno delle difficoltà enormi che questo comporta. Ho fatto anch'io la scoperta esaltante di non essere inferiore ai compagni, ora so di avere una identità politica e so anche di avere la capacità di parlare di portare avanti le mie posizioni senza paura. Ma rispetto alla politica in senso lato, alia nostra possibilità di cambiare le cose da dentro una organizza– zione ho dei dubbi: restare dentro e incidere vuol dire essere capaci di capire e usare gli strumenti dei compagni, saper parlare nel 'loro modo, organizzare come loro ecc., e in più dobbiamo essere tanto brave da riuscire, con la nostra presa di coscienza femminista a cambiare questi stessi strumenti, in ultima analisi . a cambiare il modo di far politica. Per me tutto questo è a volte troppo pesante. F. - Anch'io ho te stesse sensa– zioni e mi chiedo spesso in questo periodo se la costruzione del movimento delle donne non sia di per sè un lavoro politico comples– sivo. C. - Lé potenzialità politiche del femminismo ancora da sviluppare, sono enormi: basta pensare alle donne dei quartieri, ai consultori, ai nostri stessi colletti.vi al lavoro. G. - lo pen10 che 11■ poulblle cambiare Il modo di 1tere nelle organizzazioni, diventare soggetti della politica, ora ho l'entusiasmo sufficiente per provarci e anche la forza necessaria. Per quanto riguarda i compagni non tutti hanno reagito allo stesso modo di fronte alla presa di coscienza di cui parlava A.; alcuni minaccia– vano di espulsione chi faceva autocoscienza, altri lasciavano fare. A. - Queste tematiche le abbiamo affrontate soprattutto durante il periodo delle elezioni ed ii collettivo è molto cresciuto: ora dopo le ferie stiamo pensando di strutturarci in quattro collettivi (uno ail'IMPS, uno all'Uniiever uno alla Philips e un quarto per i~ altre ditte della zona, con una riu– nione congiunta ogni quindici giorni). G. - Stavamo dicendo prime . come vediamo la po11lbllltà di cambiare il modo di far polltlca nei gruppi; anche nel sindacato qualcosa si muove. Alla lega FLM di zona facciamo riunioni di sole compagne, non tutte sono femmi– niste, anzi alcune sono motte ostili al femminismo. Comunque cer– chiamo di costringere l'organizza– zione sindacale a ricordarsi che le donne esistono: ad esempio abbiamo fatto una critica al CUZ per aver proposto una piattaforma che non prevedeva nè asili-nido, nè consultori. A. - Anche nel sindacato ci sono compagni che vedono molto mala l'organizzazione delle donna; ad esempio in occasione di un con– vegno sindacale sulla salute dalla donna, un responsablle ci volava addirittura impedire di discuterne nel collettivo, perché diceva che non era un'istanza del sindacato. Ora il teina che cl troviamo di fronte sono I contratti: non abbiamo ancora comincialo a discuterne nel collettivo, mà vogliamo che la nostra presa di coscienza ci permetta di portare

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