RE NUDO - Anno IV - n. 20 - 1973

go sicuro. Questo mi fece insospet– tire e pensai che fosse uno strata– gemma, in ogni modo gli chiesi se A. era stato arrestato. Rispose di si e proprio per questo aveva bisogno degli indirizzi, non gli rispondevo, tacevo per istinto. Egli diceva, in– sistendo, che bisognava portare ur– gentemente in un altro posto la va– ligia col fucile; poi mi propose di scrivere un messaggio, che egli stesso avrebbe portato dove fosse necessario, parlava piano come se avesse paura che lo sentissero. Credo che ad un certo punto co– minciai ad esitare, ammettevo già che egli fosse una persona amica. Gli chiesi un foglio di carta e co– minciai a scrivere un messaggio per mia madre affinché cercasse una persona amica, (che menziona– vo con un nome convenzionale) per andare a prendere la valigia e spe– dirla alla polizia e in questo modo provare che non c'era nessun fucile, la costante insistenza sulla valigia, nello stato in cui mi trovavo, mi portò a questo sciocco ragionamen– to. Il messaggio scritto in delirio, con la mano che mi tremava, dove– va essere il.leggibile. L'agente ac– canto a me mi richiamava all'atten– zione, dicendo che non capiva nien– te e voleva che lo riscrivessi. Mi addormentavo mentre scrivevo, fa– cendo scarabocchi, Finalmente gli diedi il messaggio, chiedendo che lo consegnasse all'indirizzo di mia madre. Mi rispose che così nulla si sarebbe risolto, che aveva bisogno di sapere dove era la valigia; io ero indeciso, confuso e gli ritirai il biglietto dalle mani, strappandolo. Egli mi faceva sempre più pressio– ne, insistendo di essere un compa– gno che avrebbe dovuto portare qualche indicazione, quando sareb– be uscito, per risolvere la questione. Al mattino, quando egli stava per essere sostituito, finii per chiedergli l'elenco telefonico, egli lo portò e :ili feci vedere il numero dell'ufficio di Z. Anche se lo stordimento del sonno mi aveva portato a quello stato, solo il ragionamento e la vo– lontà erano offuscati; la memoria funzionava regolarmente e non ebbi difficoltà a scoprire il numero nel- 1 'elenco. L'agente uscì e ne entrò un altro; non ho più ripensato a ciò che avevo fatto. Solo quando, un'ora dopo, ven– ne Mortagna con l'elenco telefonico chiedendo chi era Z., presi coscien– za del male irreparabile che avevo fatto, ma non mi disperai rimasi apatico. Tornata la squadra degli agenti « cattivi », cominciarono bru– talmente a farmi correre intorno alla stanza; uno di essi soprattutto mi te– neva per la giacca e mi sbatteva contro il muro gridandomi di corre– re. Non mi chiedevano nulla, solo mi insultavano e picchiavano. Quan– do non ne potevo più chiedevo che mi lasciassero camminare un po'; mi accontentavano, ma siccome mi addormentavo subito e inciampavo, mi gettavano di nuovo contro il mu– ro per svegliarmi e mi davano schiaffi. Uno di loro andò a prende– re un bastone e si mise in mezzo alla stanza a picchiarmi sulla schie– na per farmi correre; mi colpiva anche nelle gambe e nei piedi gon– fi, provocandomi forti dolori. Mi pro– pose: • se parli tutto questo fini– rà. Vuoi scrivere le dichiarazioni? • Non volli, e ricominciò a picchiarmi. Nel decimo giorno, nel pomeriggio, venne Mortagna; fece uscire tutti gli agenti, mi diede una sedia, fa– cendomi sedere e mi disse in tono amichevole, ma con fermezza: « Fi– niamola! ». Mise sul tavolo la busta con tutti gli scritti in codice che portavo in tasca al momento dell'ar– resto. Cominciai a decifrarli man mano che li indicava. Non ricordo di aver pensato che stavo traden– do né di avere manifestato qualsia– si resistenza. Rispondeva man mano che mi interrogavano mi addormen– tavo in ogni momento; sentivo un gran benessere per lo stare seduto. Mortagna mi fece fumare delle siga– rette per svegliarmi, mi svegliava e mi faceva nuove domande sulle no– te che non capiva nei miei scritti. Frattanto gli agenti avevano prepa– rato un letto nella stanza ed egli mi diceva: « Finisci questo e poi dormirai ». Rideva e mi dava una si– garetta dietro l'altra. Decifravo cor– rettamente le indicazioni, senza pensare neanche di dargli una tra– duzione sbagliata, o di dire che non mi ricordavo, senza nessun spirito di difesa. Obbedivo automaticamente, senza ragionare sul significato di ciò che facevo. Quando Mortagna vide che le cose principali erano state deci– frate, mi mandò a dormire. Francisco Martinez Rodrigues CONCLUSIONI Ho cercato di fare una descrizione completa e vera della mia esperien– za della tortura del sonno; è sostan– zialmente simile a centinaia di altre e.l'ho fatta In modo che si possa af- frontare con migliore preparazione questa tortura della PIDE. Ma il mio racconto scritto ancora sotto I'in– fluenza della sconfitta che ho soffer– to, può suscitare l'idea che la pri– vazione del sonno (o la sommini– strazione di droghe che può anche essersi verificata nel mio caso) sca– teni un processo incontrollabile che paralizza la volontà una specie di automatismo contro il quale anche un militante comunista rimarrebbe senza difesa conducendolo fatalmen– te a fare dichiarazioni al nemico. Tale idea è completamente falsa. A– nalizzando le condizioni del mio ce– dimento nei confronti della PIDE, devo concludere che tutto è risul– tato semplicemente dal. fatto che io non ero preparato per fronteggiare vittoriosamente il nemico, al con– trario di ciò che supponevo. Questa è stata l'unica ragione del mio cedi– mento, che tanti guai ha portato alla causa della ricostituzione del Par– tito Comunista, non soltanto per gli aspetti dell'attività che ho rivelato, ma anche e principalmente per a– ver rafforzato il mito dell'invincibi– lità della PIDE, portando altri mili– tanti al cedimento. E' certo che nessuno può evitare di essere privato del sonno per il tem– po che la P-IDEvuole, nessuno può evitare la perdita parziale della co– scienza ed il delirio che da questo risultano, effetti più o meno accen– tuati a seconda della resistenza fisi– ca e nervosa di ognuno. Ma dipen– de esclusivamente dalla fermezza della volontà rivoluzionaria di ognu- RE NUD0/5 no, la direzione che pr!'lnde il suo atteggiamento in quelle condizioni. Molti militanti cadono in uno stato di allucinazioni in cui arrivano al punto di confondere gli agenti della PIDE con i compagni e fanno lunghe conversazioni con loro, sopportando prove ben più dure delle mie e ar– rivavano ai limiti della pazzia; però questo non annulla in loro la resi– stenza e la vigilanza nella difesa dei segreti dell'organizzazione. L'essen– ziale è che ci siano reazioni anterio– ri di intransigenza radicata nella per– sonalità e che si inizi il confronto con la PIDE in una posizione di fer– mezza assoluta, senza compromessi di qualsiasi specie, affinché questo atteggiamento si prolunghi quando la ragione rimane paralizzata dalla tortura del sonno. Reazioni iniziali di intransigenza e conciliazione an– che se in questioni secondarie, co– me è stato nel mio caso (non ri– spondere agli insulti con insulti e alle bastonature con bastonature, non fare lo sciopero della fame affinché non applicassero la sonda) provocano dopo nel periodo critico della semi-_incoscienza, reazioni si– mili di cedimento in scala maggiore che preparano il crollo finale. La posizione passiva che ho assunto fin dall'inizio degli interrogatori, in– sieme alla mancanza di un prece– dente allenamento nella lotta diret– ta contro il nemico che potesse dar– mi fiducia nelle mie forze (negli arresti anteriori non ero stato pic– chiato né torturato, e non avevo dunque provato nessuna difficoltà a resistere), mi hanno portato, nella misura in cui mi immergevo nello stordimento della tortura del sonno, alla convinzione confusa che non li potevo sconfiggere, che la loro vo– lontà era superiore alla mia e che toccava a me cedere, la resistenza che ho opposto non ha avuto dunque il carattere di un atteggiamento of– fensivo, rivoluzionario, ma solo quel– lo di una battaglia di prolungamen– to che già sapevo persa se l'aves– sero prolungata sufficientemente come fecero. Entrare in una prova di questo genere. sperando che il nemico si stanchi prima di noi, è un gioco molto rischioso che ha tut te le probabilità di finire in una scon– fitta. Questa esperienza mi ha ri, velato che la mia identificazione con la causa del Partito e della- ri– voluzione, che in nessun modo ho pensato di abbandonare, era ancora insufficiente perché non era stata temperata nella lotta aperta con il nemico e non mi aveva perciò for– mato una volontà terrea, capace di dominare le reazioni di stanchezza e di panico causate dalla tortura. La mia esperienza ha confermato la giusta posizione marxista-lenini– sta; la fermezza davanti a qualsiasi tortura del nemico non dipende né dalla resistenza fisica o nervosa né dalla «dignità» o dall'onore dipen– de sempre in ultima analisi dalla tempra comunista che può essere formata soltanto dalla combinazio– ne della teoria e della pratica rivo– luzionaria in un tutt'uno. E' in que– sto senso che cerco di costruirmi come militante comunista. Francisco Martins Rodrigues A cura di PER IL PORTOGALLO, comitato di sostegno alla lotta portoghese contro la dittatura c/o Club Turatti, Via Brera 18, 20121 - Milano

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