RE NUDO - Anno II - n. 6 - giugno-luglio-agosto 1971

RE NUDO/10 ANCORA SUL CARCERE EB Non parliamo del carcere perchè molti di noi ci hanno passato molti o pochi mesi, non abbiamo la fissazione come quella di certi reduci che sono capaci di parlare solo di fatti di guerra. Alme– no, non si tratta di questo. Il fatto è che il carcere, secondo noi, è un'immagine brutale, senza mediazioni e senza sfumature della natura della so– cietà in cui viviamo. Una società che ci tiene tutti dentro a vita - carcerieri e detenuti. Una struttura in cui tutti sono obbligati da un addestramento subdolo che inizia con la nascita e che si perfe– ziona sempre, nella scuola, sul lavoro, nella naia, a diventare carcerieri di qual– cuno e detenuti di qualcun altro. In fab– brica il caporeparto può punire, multa– re, ordinare all'operaio. Questi, detenu– to in fabbrica, si trasforma a sua volta in carceriere a casa, quando impedisce alla figlia adolescente di uscire la sera o quando la pesta se viene a sapere che scopa. E così via, a tutti i livelli, in un gioco tremendo in cui il sadismo, l'au– toritarismo scendono dal vertice alla base. Nel carcere questa struttura assume una dimensione tragica, di parossismo. Dice Zichitella che ha firmato una delle due lettere che pubblichiamo: « le guardie carcerarie sono i più bei campioni di sadismo umano, ogni volta è un piacere per loro far parte della squadra di pe– staggio, anzi alcuni fanno a gara per entrarci ... » ma queste guardie carcera– rie prima di divenirlo erano contadini, proletari, gente del popolo, erano indi– vidui cosl disperati da accettare di farsi rinchiudere a vita pur di avere un la– voro. Non erano, in media, gente diver– sa da quelli che devono sorvegliare, an– ch'essi vittime di un sistema abile e atroce che, come in altri campi pare che abbia come regola quella di so– pravvivere mettendo l'uno contro l'altro quelli che opprime. Non erano diversi da noi. I due documenti di Volterra sembreran– no agghiaccianti a molte persone. For– se sono le stesse persone che pensa– no che queste cose possono avveni·re solo altrove, in Grecia, in Brasile, in Spagna, sotto regimi fascisti o nazisti. Ma, per l'appunto, il regime in cui vi– viamo è un regime fascista. Non di quelli chiari e brutali, almeno non trop– po spesso, non almeno in teoria di. quelli dove non si può dire tutto qu~llo che si vuole, ma di quelli che, come tut– te le società autoritarie, il fascismo lo hanno nel sangue, non come istituzio– ne politica, ma come struttura mentale e caratteriale della maggior parte dei suoi servi, delle sue vittime, e purtroppo anche di molti di quelli che lo conte– stano. Bisogna avere il coraggio di riconoscere che la famiglia e le altre istituzioni della società, mediante un abile addestramen– to repressivo, mediante la repressione degli istinti, mediante la repressione ses– suale. hanno fatto di tutti noi, in misu- ra minore o maggiore, con una consa– pevolezza maggiore o minore, degli in– dividui che potenzialmente, messi nella situazione adatta, possono divenire po– liziotti tortur&turi, massacratori in guer– ra, aguzzini sadici, e cosl via. Di noi, di tutti noi. Anche se per illusoria Ipotesi gli aguzzini di Volterra dovessero essere puniti le cose non cambierebbero, come .non cambierebbero solo con una rivo– luzione (diciotto anni dopo la rivoluzione di ottobre in Russia il meccanismo era di nuovo in piena funzione). Le· cose cambieranno solo nella misura in cui ci si renderà conto, a livello di massa1 che se il cercare la linea giusta nella stra– tegia della rivoluzione è importante, è altrettanto importante, e forse più, cer– care la linea giusta in noi stessi, ind DALL'INFERNO DI VOLTERRA Diciannove settembre 1970, sono da po– co le sette del mattino, passi cadenzati si odono nella sezione, la terza supe– riore del Penitenziario di Volterra, una vecchia fortezza Medicea con tanto di mastio ove venivano torturati e uccisi nel crudele medio evo i nemici del casato per conto di Lorenzo il Magnifico. Qui pare che il tempo s1 sia improvvisamente fermato a dispetto del progresso e della emancipazione dell'uomo nella civiltà dei consumi. Odo i passi arrestarsi di fronte alla mia cella la N. 23, ·10 scatto del pesante pas– sante che blocca la porta, che viene spa– lancata, innanzi a me due brigadieri ed una decina di guardie, vengo. invitato ad uscire, obbedisco, ed in mezzo al plo– tone mi incammino verso l'uscita. Fac– cio una domanda, mi viene risposto che non sono tenuti a darmi delle spiega– zioni, replico la domanda, mi informano che debbo essere isolato. Scendo tranquillamente le scale sino ai· sotterranei del castello, ove con mia grande meraviglia altri miei compagni sono già stati condotti prima. Vengo in– trodotto in una cella con un letto di contenzione al centro, mi spogliano com– pletamente nudo, intorno ci sono una ventina di guardie. In un istante mi sono addosso con calci o pugni, cerco di coprirmi, g,ido, chiedo il_ motivo di quel linciaggio, ricevo altri calci, altri pugni, con una r,attiveria ed una selvaggità mai vedute. Fortunata– mente la lunga pratica sportiva, la difesa del caraté e la robustezza fisica acquisi– ta praticando il sollevamento pesi negli anni passati, mi sono di aiuto a parare molti colpi, che avrebbero potuto provo– carmi serie lesioni. Odo gridare anche gli altri compagni nelle celle accanto, addirittura pi'lngere e gemere di dolore. Un poderoso pugno mi raggiunge in pieno volto, mi sanguina il naso, conti– nuano a picchiarmi, selvaggiamente, qua– si la vista del sangue li avesse infuriati di più, proprio come l'istinto degli ani– mali feroci, sto per crollare, nonostante la mia resistenza fisica. Smettono, mi trascinano nel corridoio ove in uno stan– zino c'è un lavabo, mi ordinano di la– varmi il volto che è ormai una maschera di ,sangue (forse temono che mi restino troppi segni evidenti), vengo spinto .an- vidualmente, facendo ogni giorno con– ti con il nostro sadismo, con il nostro fascismo, con la nostra concezione rea– zionaria, patriarcale dei rapporti umani, sentimentali, amorosi. In carcere o si diventa « detenuti bor– ghesi » o si lotta continuamente contro gli impulsi c·r.<i spingono a diventarlo, a rifugiarsi nella tranquillità della sotto– missione, che spingono alla delazione, l'unica forma di sadismo possibile. Co– me si può ben c;ire che il carcerato che, come Notarnicola, scoperto il meccani– smo ne rifiuta la logica, è diventato un vero rivoluzionario, lo stesso si può di– re del generico detenuto nominalmente libero in questa società. Il processo nei due casi è lo stesso. La differenza, lo · etiamo, è _solo di ado. cora fuori .,.,,,,.,,.,..,u at- tendermi un evole d1 guardie, disJ> ste ai d i', vengc, -di nuovo preso di m1 , riscono ancora, soprattutto con calci, il dolore mi fa an– nebbiare la vista, mi ritrovo pesto e do– lorapte nella cella, completamente nudo, mi alzo da terra a fatica, cerco di ada– giarmi sul letto, mi gira il capo, la nau– sea, vomito, forse svengo, mi risveglio sul tardi intirizzito dal freddo, chiedo qualcosa per coprirmi, m1 viene risposto che non c'è l'autorizzazione. Intanto ho scolpito nella mia mente al– cuni nomi, tre sottufficiali e un agente: Pastarella, Zaccaria, Jodice e Molinario. Nelle notti seguenti sono preso da incu– bi, mi sveglio di soprassalto, mi sembra che ad ogni istante arrivino i miei car– nefici. Ho finalmente modo di vedere gli altri miei compagni, in condizioni pietose, Zambon Adriano. e Milone Alfio. que– st'ultimo, forse il più malconcio (più gio– vane ed inesperto), è caduto a terra, dove numerosi calci lo hanno raggiunto in pieno. Gli altri due, Manfrinato Vani Alberto e Marcianò Consolato non sono stati molto malmenati per la loro avan– zata età. Sei giorni dopo dal sotterraneo- si.amo trasferiti in un'altra sezione, sempre pu– nitiva ed in isolam~nto, dove poi ci re– ;,teremo quasi cento giorni. La sera del 25 settembre vengo convo– cato sul tardi dal Sostituto Procuratore della Repubblica, Generale di Firenzè, il quale con mia grande meraviglia sa ogni cosa, evidentemente un compagno è riu– scito ad informare la magistratura. Zam– bon Adriano ed io (Martino Zichittella) veniamo interrogati e sottooosti ad una visita medica all'istante dal medico del carcere Dott. Lupeto, per ordine del Giudice stesso. Il medico riscontra ec– chimosi ed abrasioni sui nostri corpi, per cui procede all'apertura di un'inchiesta controfirmata da noi, e dal medico stes– so. Dopo qualche giorno veniamo con– vocati dal comandllnte del carcere Bu– sti, il quale ci contesta di aver opposto resistenza e di aver oltraggiato le guar– die che ci scortarono nei sotterranei (cosa assolutamente. falsa, per giustifica– re le lesioni riscontrate sul r.ostri corpi).

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