Il piccolo Hans - anno XXI - n. 83/84 - aut./inv. 1994

blancheur de l'air dehors», Laisses, Parigi 1979, p. 25), segue l'io («la route ira où j'ai été», Axiales, p. 59) e così via. Qui, in questa sovrapposizione e compenetrazione della «vista» linguistica e della comprensione del mondo nell'Anschauung, nel divenire parola del mondo e nello sperimentare sensitivamente lo stesso in quanto Aria, Vento, Sole, Sentiero, Ghiacciaio, ecc., qui, dove l'io diventa il meridiano, nel quale immaginazione e lingua convergono, va cercata l'istanza vera della lirica di du Bouchet. Il luogo di una tale compenetrazione è senza dubbio alcuno l'io, il soggetto che cammina nel paesaggio. Il fatto che du Bouchet, poeta che scrive alla fine di questo nostro secolo, colleghi così la sua poesia con l'esperienza del paesaggio, non va confuso con una ritrovata semplicità lirica o una immediatezza facilmente raggiungibile. L'opera di du Bouchet si situa piuttosto alla fine di uno sviluppo che si lascia dietro le spalle Teocrito, Virgilio, Petrarca, il Romanticismo come pure l'esperienza del paesaggio di un Baudelaire. Così il paesaggio poetico di du Bouchet non è più un locus amoenus, né - come lo era per Petrarca - uno specchio, né tanto meno uno spazio incantato o permeato dal divino, come lo aveva sognato il Romanticismo, e neppure la proiezione di un'immaginazione spontanea e sfrenatamente libera quale l'aveva concepita Baudelaire. Il paesaggio poetico in du Bouchet è soltanto se stesso, un che di instabile, di aperto, che si offre come tale nella sua immediatezza momentanea, per accedere poi ad un altro paesaggio. Se è il soggetto che costituisce sempre il paesaggio, e se lo sguardo del soggetto cambia man mano che esso procede, allora anche il paesaggio deve costituirsi nuovamente di continuo. Questo rivelarsi del paesaggio dinanzi al soggetto nel processo poetico è la realtà della poesia di du Bouchet. La lirica dubouchetiana rende, per la prima vol200

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