Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

fantili. Solo dopo Mosè e il monoteismo, Freud può scoprire la sua posizione nei riguardi delle statuette egizie che collezionava sulla scrivania. In quel momento, grazie allo scatto di Mosè e allo spostamento di Freud, la collezione diviene rappresentazione. Solo in quel momento, come il berretto di Freud rubato qualche anno fa dalla sua casa-museo di Vienna oggi non è più ovunque esso sia altro che un qualsiasi berretto, le statuette divengono un modello per il Mosè e il modello a posteriori della vita di Freud. Intorno a Monet, sono intanto cresciuti ben tre atelier. Il primo in cui non lavorava mai. Su un tavolo c'era il suo ritratto, una fotografia fatta da Sacha Guitry. Lì accanto però, leggeva. La coincidenza di autore e modello sposta l'autore nel già fatto. Il secondo con i quadri delle Ninfee degli anni Novanta, che raffiguravano quello che sarebbe stato il giardino che avevano per modello. Il limite che produce la serie privilegia la rappresentazione, nella quale passato e futuro si possono spostare. (È ciò che consente un'analisi). Il terzo che usò solo all'ultimo, per dipingere i grandi pannelli delle Ninfee, disposti in modo che l'atelier rappresentasse le due sale dell'Orangerie che nel 1926 li avrebbero ospitati. Compiuto il giardino con lo stagno, la rappresentazione si sposta al futuro. L'atelier non raccoglie solo più opere, o fotografie, o pezzi di vita, modelli e rappresentazioni, diviene esso stesso rappresentazione della Mostra. E insieme, l'atelier del pittore come quello dello psicoanalista, è a sua volta superficie fondamentale che si appresta ad accogliere visitatori, non solo i loro molti e differenti punti di vista, ma i loro passi, il loro sostare, il loro oscillare un po' a destra un po' a sinistra, il loro peso, il loro calore che deteriorerà l'opera e creerà nuovi spazi. Giverny, 18 settembre 1926, a Clemenceau: «Caro e buon amico, finalmente sono io che vi scrivo, felice di po54

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