Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

La fine si lega all'uso dell'handicap. L'handicap non è una mancanza, ma un'aggiunta. Non qualcosa in meno, ma qualcosa di più. Il peso maggiore del biroccio attaccato al cavallo, i punti da aggiungere all'inizio di una gara. L'handicap è una protesi iniziale che appartiene al soggetto e all'estrinsecarsi delle sue potenzialità. Non è il bastone della vecchiaia ma il fapipì che il bambino aggiunge, al disegno della giraffa, alla madre, a se stesso. L'handicap fa parte, come la torre che una serie di circostanze rende più vicina e visibile, di un punto di vista iniziale che consente la «fine», quella fine che è l'apparire di una forma desiderata. L'elenco di «handicap» presenti alle Olimpiadi 1992 ci dà una nuova anatomia del soggetto. La fiorettista medaglia d'oro Diana Biancheoli ha supplito a un'altezza minima di m. 1,58 con la velocità in pedana che bilancia la mancanza di potenza. Anche a scuola era un po' «corta», la chiamavano «la Gina», modo di dire nella sua provincia lombarda per indicare una ragazzina un po' scema e timida. Giovanna Trillini, due medaglie d'oro con un ginocchio sostenuto da una gabbia metallica, ha iniziato il fioretto per esercitare i muscoli di una spalla in seguito alla rottura di una clavicola. La donna più veloce del mondo nei 100 metri è Gail Devens, fino all'anno scorso, malata del morbo di Graves, si parlava di amputarle i piedi. L'handicap fa parte di una gara ma il suo modo di smorzare l'eccesso non ha niente a che vedere con l'acquiescenza alle potenze psichiche (l'ira nascosta), né con la sublimazione. Lo spostamento che l'ostacolo determina, permette l'acquisizione di una nuova superficie fondamentale, lo stagno delle ninfee, e di un'ulteriore prospettiva, dalla facciata alla torre. L'handicap viene prima delle limitazioni e dell'impoverimento della nevrosi, appartiene alla formazione del soggetto nello spazio teorico determinato da un'anatomia composita. L'handicap è parte del paesaggio. 28

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