mente spregiativo dice Momo), quella vittoria, cioè, che dovrebbero conquistare con reali imprese di guerra, che richiedono valore e audacia, mentre quelle della caccia sono vana iattanza, finzione, simulazione, e, di conseguenza, vera dimostrazione di inettitudine. La caccia, non che essere l'immagine e la preparazione della guerra, ne è la vana e stolta finzione, o meglio, parodia, l'illusione per i sovrani inetti che si pascono di immaginazione e di sogno, quali sono quelli dell'esercito nemico in fuga davanti a loro, là dove si tratta di una misera «dama», o del re o del tiranno nemico, catturato e reso innocuo, mentre non è che una generica preda d'animali. A tali prìncipi bene si addicono le cerimonie di ringraziamento a Dio per la riuscita delle loro imprese di caccia, come se fossero azioni gloriose di guerra (e di nuovo qui la parodia anticristiana è acre, colpendo la complicità d'inganno che c'è fra religione e politica nell'adulazione del sovrano, fattosi non più che beccaio e mirabilmente presentato e accettato, invece, come vincitore del male e trionfatore dei nemici, naturalmente empi). C'è da pensare, di conseguenza, che il Bruno così acutamente e aspramente irrida alla caccia anche perché la citazione degli animali gli consente di riproporre in modi diversi e sempre nuovi la parodia anticristiana, al tempo stesso coinvolgendo nella polemica anche la letteratura eroica in quanto portata a esaltare e ad adulare prìncipi in realtà al massimo capaci di inseguire «timide damme» per i boschi e fare qualche indeterminata preda fra gli animali selvatici. Poco prima, del resto, il Bruno aveva fatto oggetto dello «spaccio» dal cielo un altro cacciatore, Orione, di cui Momo subito interviene a parlare, prendendolo come altro «tipo» di Cristo: Questo, perché sa far de maraviglie e, come Nettuno sa, può caminar sopra l'onde del mare senza infossarsi, senza bagnarsi gli piedi, e con questo consequentemente potrà far molte altre belle gen75
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