Il piccolo Hans - anno XIX - n. 75/76 - aut./inv. 1992-1993

anche l'aspetto insensato della caccia in quanto legata a riti religiosi, nella consueta prospettiva bruniana dell'irrisione di ogni rito e di ogni forma di culto: Mi maravigliavo io, quando vedevo questi sacerdoti de Diana, dopo aver ucciso un daino, una capriola, un cervio, un porco cinghiale o qualch'altro di questa specie, inginocchiarsi in terra, snudarsi il capo, alzar verso gli astri le palme; e poi con la scimitarra propria troncargli la testa, appresso cavargli il cuore prima che toccar gli altri membri; e cossì successivamente con un culto divino adoprando il picciolo coltello, procedere di mano in mano a gli altri ceremoni: onde appaia con quanta religione e pie circonstanze sa far la bestia lui solo che non admette compagno a questo affare, ma lascia gli altri con certa riverenza e finta maraviglia star in circa a remirare. E mentre lui è tra gli altri l'unico manigoldo, si stima essere a punto quel sommo sacerdote a cui solo era lecito di portare il Semammeforasso e ponere il piè entro in Santasantoro. Di nuovo Momo porta il discorso dalla caccia come passatempo, aristocratico, indecoroso nella realtà, all'ambito della religione. Sul fondamento di reminiscenze bibliche, Momo può riproporre la parodia del culto ebraico e, per immediata conseguenza, cristiano, e si aiuta, allora, con la citazione popolarescamente deformata per intento di comicità del Sancta Sanctorum (e sono modi che si incontrano nella novella e nel teatro, per raggiungere effetti di riso attraverso i giochi di parole che possono derivare dalla pronuncia a orecchio di parole latine). Le cerimonie del sacrificio ebraico vengono così a essere presentate come quelle grossolane e crudeli di beccai che fanno a pezzi l'animale da sacrificare, ma con una ritualità precisa e grottescamente solenne, che non cela, agli occhi di Momo, la sostanza vergognosamente atroce degli atti di culto che vengono compiuti. Il Bruno, poi, aggiunge all'irri73

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