Marco, i quali - «historias suas describentes» - cominciarono anch'essi dallo stesso nome: re'sft o arche' [àgx riJ , cioè principium (FEI 16). Di ben altra portata il contributo della seconda versione del testo dove, in concomitanza del processo di devalorizzazione della ratio come strumentazione ereticale obsoleta, cresce una valorizzazione ovante della retorica e dei suoi espedienti. È qui che il discorso, posto nell'epitossi della critica, aggredisce e dilata il percorso della Brevis explicatio in un punto ch'era stato semplicemente toccato. La tangenza !eliana, che fonda tecnicamente il tema della narrazione come strumento rivelatore del segreto imputato dall'ermeneutica al prologo e organizza la collocazione dell'in principio come formula incoativa d'un racconto, è la seguente: il vangelo di Giovanni incomincia con la stessa parola che usano Marco e Luca per aprire i loro resoconti. Nella prima versione dell'Explicatio cade- come abbiamo visto-il ricorso a Luca perché l'àrt'agxf]ç non fa effettivamente parte della struttura del prologo come sommario delle cose da dire. Nella seconda versione cade anche il richiamo a Marco perché la dizione CXQX'll i;ov Eva.yyEÀ.LO'U non è l'indice d'un digesto. Vale a dire: lo scrittore non dice in principio come se dicesse in primis ovvero ante omnia e poi non condensa in una formula tutto quello che esporrà in diverse parti délla narrazione (FEI 16). Non resta dunque, come unico modello di riferimento, che la lezione mosaica. E il Sozzini riscrive infatti il passaggio in questi termini: «Giovanni imita qui Mosè che, scrivendo la sua storia, comincia dicendo In principio» (FEA 6). Come Mosè, dovendo parlare del mondo creato da dio, istituì il discorso delle cose visibili e cominciò dicendo re'sft riferendosi summatim alle imprese che stava per enumerare, così anche Giovanni - dovendo scrivere del mondo creato dal messia - istituì il discorso delle cose invisibili ed esordì dicendo tv àgxfl riferendosi paucis ai 48
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==