Il piccolo Hans - anno XIX - n. 75/76 - aut./inv. 1992-1993

rimosso dai lettori dell'Odissea, che ritengono le avventure di Ulisse un unicum, come se riuscire ad ascoltare le Sirene o evitare Scilla e Cariddi fossero opera del suo ingegno e non invece fatti previsti e già risolti da Circe nel colloquio prima della partenza dall'isola Eea. Quello dunque che andavo cercando era un indizio testuale che, all'interno della narrazione del viaggio, facesse capire al lettore che le cose erano cambiate, che non era più il protagonista ad operare, a scegliere le sue mete, ma che tutto era già prestabilito in partenza, e che il secondo gruppo di avventure, per così dire, non erano altro che prove cui l'eroe doveva sottostare per adempiere la volontà degli dei. L'indizio, anzi gli indizi testuali, sono stati con fatica trovati, e stanno proprio in momenti narrativi, in precisi episodi che cambiano completamente la mentalità di Ulisse. Per spiegarli è necessario seguire un percorso graduale all'interno del viaggio narrato da Ulisse ai Feaci, e del linguaggio da lui usato per raccontare. 1.2 Negli stessi anni Enea parte da Troia con una meta molto più incerta e tormentata, quella di una nuova patria che è nella mente degli dei e che il protagonista deve trovare esplorando e interpretando la volontà divina. Se anche il suo viaggio non segue in pieno la rotta di Ulisse, ma tocca porti e approdi sulla terraferma, questo non si deve alla sua volontà, ma alla difficoltà di interpretare quale sia la nuova patria che gli dei gli vogliono assegnare. Qual è dunque, in cosa va cercata la differenza tra i due viaggi? Si sa perfettamente il motivo del peregrinare di Enea, i suoi errori, l'approdare in terre credute definitive e invece rivelantesi provvisorie, come la Tracia, Creta o la Libia. Il viaggio di Ulisse invece non obbedisce a questi criteri, almeno nella prima parte, come vedremo, ma a 152

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