Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

già questo gli aggiungerebbe il predicato dell'essere o del non-essere... Neppure l'"in-sé" gli si deve aggiungere, né il "solo", né il "questo", né alcun'altra delle determinazioni simili, le quali sono applicabili a tutte le cose in quanto che dalle cose alle quali si applicano sono diverse»6 • Si tratta dunque della cosa identica a se stessa, alla quale «nessun'altra cosa conviene all'infuori di questa sola, di essere nominata»7 • Tranne che, appunto, può trattarsi solo della cosa nominata con il nome proprio, il quale non sostituisce affatto il nome comune che ha lasciato cadere, ma resta sempre il segno di una assenza. Secondo il linguista infatti «...il significato generale del nome proprio non può definirsi al di fuori di un rinvio al codice», e quindi, come C/C, come codice che rinvia al codice, come nome che rinvia a se stesso, il nome proprio non investe direttamente il suo oggetto, ma se ne separa, e dunque lo lascia realmente senza nome, lo sottrae realmente al linguaggio configurando un "manque" linguistico assoluto. Se il filosofo annuncia «l'absence irrémediable du nom propre»8 , è perché lo vede inscritto in un linguaggio al quale il nome proprio non appartiene: «(le nom propre) n'a jamais été possible que par son fonctionnement dans une classification et clone dans un système de différences»9. Analogamente anche logici e semiologi postulano, con lunghe discussioni, che il nome proprio corrisponda ad una espressione linguistica, detta "descrizione definita", per cui l'espressione "il maestro di Platone" sarebbe il perfetto equivalente del nome Socrate. In realtà, "il maestro di Platone" corrisponde al nome Socrate solo se si sta parlando del maestro di Platone, e non di un gatto chiamato Socrate, perché il nome, in sé, non comporta nessuna descrizione, nessun corrispondente linguistico. Il nome proprio è negazione del linguaggio, è sottrazione della cosa al linguaggio secondo l'ipotesi iniziale, ma so189

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