Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

sibile vedere in quella stanza immaginata e in quello stupore «allucinatorio» - se così mi posso esprimere, parafrasando Lacan - « lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell'io» poetico. Là infatti, forse per la prima volta, la finzione diviene più vera del vero, e il bambino oscuramente apprende questa verità che dice: un 'opera poetica esiste. E che a lui doveva suonare anche come: la mia opera poetica deve esistere. In un componimento di Vocativo quei paesaggi secondi (e cioè figurati) sono detti «primi» (e cioè ideali e veri). Qui, la figura paterna (affiorante qua e là nel corso del1'opera, in luoghi e forme che ne testimoniano il valore di sostegno creativo, come nell'ultima delle Ecloghe: «A lui tuo padre. Senti che da sotto / di tutto se stesso ti regge; sentine tutto il respiro: / non è, nemmeno nella morte, I ancora non è faticoso») non è solo incoronata «signore I di Lorna», ma è fatta centro solare del paesaggio, della poesia, dell'amore. 108 Dal mio corpo la coltre di neve rimuovi, padre, e il sole sei che brusco mi anima: e alle mia dita componi frutti e fiori intensi in un soffice inverno che pur duole pur duole ovunque su in collina? Dal tuo pennello fervido, ma talvolta più algido che specchi che cieli perduti nei cieli, lavorano di luci e muschi i paradisi ed i presepi che tutt'intorno hai già, che sulla bianca parete a me seduci, tu modesto signore di Lorna che creasti e che ti crea, tu artefice di me, di un mai sopito amore.

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