Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

nazione, e «ciò è vero nove giorni su dieci, ma è il decimo giorno che conta». È il decimo giorno che conta, quando il lato candido, quando un brano di realtà, da fuori, si lascia vedere. Ma si lascia vedere solo per la velocità del1'occhio, nella vibrazione di onde luminose che pervade il mondo e mette tutte le cose insieme, anche la mente con la sua guerra. È nella velocità che la povertà, il vuoto di pensiero, sortiscono un effetto diverso. Qui le due strade si dividono. Da una parte Schreber continua a ricevere dal1'esterno miracoli che riproducono in lui, senza riparo, la natura dei raggi, la loro terribile coazione a pensare. Dal1'altra la poesia riceve una spinta, una lacerazione che la istituisce nell'evacuazione del pensiero. Libera soprattutto dal pensiero -free above all /rom thought. Pensando in un pensiero che non è né di uno né di qualcun altro - Was not his thought, nor anyone's. Battuto il pensiero in velocità, evacuati gli oggetti, sospese le singole sensazioni, la poesia riceve come una ferita (Heavenly Hurt) la luce obliqua (Slant o/Light) della Dickinson, riceve l'improvvisa percezione dell'aria come esplosione dominante del tempo e del luogo, o meglio come loro perdita sotto «la pressione della realtà» (Stevens). La velocità in questa perdita ha una funzione straordinaria, vale come un addestramento, la messa a punto di un sistema percettivo automatico che rafforza il livello di precisione. In Thomas, per esempio, le percezioni dirette (senza l'intermediario dei sensi) sono sottoposte a un sistema di controllo e revisione. Attraverso l'occhio interiore Thomas vede solo buio, nulla. Deve guardar fuori e guardare in sé, perché l'apparecchio si regoli e ci sia visione, deve cioè tenere aperti entrambi i canali37 («i miei occhi, lo so, guardano all'interno quando, e se, io guardo il mondo esterno»). Qui, al sistema percettivo si aggiunge poi un secondo fattore di precisione, anzi qualcosa di molto di più: è il «rapporto reale» con le parole. «Esiste sempre l'unica parola giusta» (Thomas). Anche in Hopkins c'è un di83

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