Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

un pene. Ma se prima ho ricordato quella forma particolare, tanto simile nella primissima infanzia, nei suoi esiti alla malattia che colpì Paul Klee, è perché l'autismo, che non è né nevrosi, né psicosi, né perversione, anche perché nella sua genesi può precedere quel tempo dei quattro anni in cui si colloca il quadrivio delle scelte, è vicinissimo a ciò che può definire una rappresentazione. Se la soluzione adottata dal camionista di annullare il percorso nel ritorno è in fondo l'estensione del gioco del rocchetto e tende, mentre una macchina va al posto suo, a realizzare anche il suo desiderio di non muoversi, fermo nella cabina di guida, mettendo così in gioco il carattere di soddisfacimento fornito dal sintomo, la fine dell'analisi del mio paziente con gli occhiali coincise invece con la sua decisione di simulare il viaggio, divenendo pulitore di vetri ai convogli di una stazione ferroviaria. In questo modo viene usufruita al massimo la protesi che, accompagnata alla voce materna "attento agli occhiali", fornì all'inizio la frenata al movimento. I vetri degli scompartimenti sono gli innumerevoli occhiali di un viaggio dalle infinite destinazioni. Il binario morto su cui si arena il convoglio destinato alla pulizia ripete in un campo "sicuro" il deragliamento temuto dal piccolo Hans per il carro a cavalli. E tuttavia la soluzione scelta da questo paziente non annulla il movimento, piuttosto lo rapprende, lo contiene. Lui stesso, al contrario del camionista, che sta fermo, si sposta di vagone in vagone, vive in una sorta di animazione del luogo della fobia, non irrigidito come nelle piccole rappresentazioni del nevrotico, ma amplificato, pieno di rumori diventati frastuono, di polvere diventata sporco, di piccole pulizie trasformate in professionalità. Ecco, l'autismo, prima del luogo della fobia fa qualcosa di simile. Solo che gli manca la possibilità di una rappresentazione "esterna", perché solo a quattro anni il bam38

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==