Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

sce Omero eJoyce, Milton e Borges. Lasciamoli aspettare nell'ombra. Mi accontento per ora di accoppiare tra loro a due per due questi grandi vecchi dagli occhi spenti che appartengono alla nostra memoria letteraria, come nella doppia rivalità di un duello. L'autore di Ulysses una volta che ebbe scritto la sua odissea quasi cieco, un'operazione alla cornea dopo l'altra. I temi dell'iride o del glaucoma invadono allora Finnegans Wake (...the shuddersome spectacle of this semidemented zany amid the inspissated grime of his glaucous den making believe to read his usylessly unreadable Blue Book ofEccles, édition de ténèbres... 2 ). Tutta l'opera joyciana coltiva i bastoni, le aste viventi. Quanto a Borges, tra gli antenati ciechi che identifica o rivendica nella galleria della letteratura occidentale, è visibilmente conMilton che rivaleggia, è con Milton che vorrebbe identificarsi, è da lui che attende, con o senza modestia, i titoli nobiliari della propria cecità. Questa ferita è anche un segno di elezione che bisogna saper riconoscere in sé, il privilegio di una destinazione, la missione assegnata: nella notte, dalla notte stessa. Per evocare la grande tradizione degli scrittori ciechi, Borges gira allora attorno a uno specchio invisibile. Contemporaneamente a una celebrazione della memoria, schizza un autoritratto. Ma descrive se stesso designando l'altro cieco, Milton, soprattutto il Milton autore di quell'altro autoritratto che fu SamsonAgonistes. La confidenza s'intitola Cecità: Disse Wilde: "I Greci sostenevano che Omero fosse cieco per far capire che la poesia non deve essere visiva, che suo dovere è di essere uditiva'' [...] Passiamo all'esempio di Milton. La cecità di Milton fu volontaria. Sapeva fin dall'inizio che sarebbe diventato un grande poeta. Questo capitò ad altri poeti[...] anch'io, se posso fare il mio nome. Sempre-ho sentito che il mio destino era, prima di tut21

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