che essi usavano nei circoli culturali dell'Italietta post umbertina». L'odio crociano per il "guazzabuglio" ove si formano le percezioni, il ricacciare nella sfera impura della pratica la conoscenza concettuale e tutto ciò che concerne la consistenza tecnico-materiale dell'opera, da una parte elude la crisi della rappresentazione tipica del Novecento più avvertito, dall'altra svilisce il momento riflessivo e imprigiona cosl in una circolarità del tutto asettica un pensiero, che avrà sconfitto l'angoscia dandosi un «colore formale e matematico», come ha spiegato il Contini esegeta del Contributo alla critica di me stesso1 , ma non ha fornito risposte convincenti a quanti, dopo la fine del positivismo, andavano seriamente in cerca di riscontri teorici almeno parziali al loro concreto operare in sede creativa e critica, pur aborrendo i congelamenti sistematici. Nell'avvertenza a Scrittori negli anni (1963) Sergio Solmi ricorda una sua antica recensione favorevole agli Indif ferenti -di Moravia: nel '29 per contrastare certo moralismo si era dovuto appoggiare all'autonomia della creazione fantastica, in mancanza di parametri più articolati: Si aveva, allora, la netta sensazione che un qualsiasi discorso fondato sulla constatazione, disinteressata e appassionata, di un fatto reale, qualsiasi analisi d'una verità oggettiva particolare, se solamente sviluppati oltre un dato limite, sarebbero infallibilmente sboccati in una critica di carattere generale, per allora informulabile se non mascherata, e in definitiva travisata e contraddetta, sotto deduzioni e conclusioni ortodosse. Le conclusioni ortodosse naturalmente erano la formula crociana, ma il nascondersi dietro questo sistema a tutto tondo non era poi soddisfacente. La scontentezza trapela da documenti pubblici e privati, da confessioni a caldo e retrospettive. Ecco Montale in una lettera a Solmi 180
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