Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

gnanza tale che si proietta sullo spettatore. Non si tratta nemmeno più di una specie di profondità a rovescio, perché l'immagine che vuole catturare lo spettatore proiettandosi in avanti, non secerne alcuno spazio specifico, ma assorbe lo sguardo e il corpo, il corpo in uno sguardo immobile e indefinitamente aperto. Al contrario, l'aura di profondità presupponeva uno spazio di forme, al di là delle forme, nell'invisibilità visibile dell'atmosfera, dove le forme vi si raccolgono come se fosse il luogo loro proprio. Profondità dell'invisibile, profondità atmosferica: come direbbe Merleau-Ponty, essa «scava» il proprio spazio nel cuore stesso del visibile. Si può dunque dire che l'immagine warholiana ha eliminato l'invisibile e l'aura di profondità? Che il lavoro del1'aura, divenuto il materiale stesso dell'immagine, ha ottenuto l'appiattimento e la trasparenza delle forme, la loro totale visibilità alla stessa stregua dell'immagine pubblicitaria? Eppure l'immagine pubblicitaria non cerca affatto di eliminare l'aura, al contrario: è la visibilità del prodotto che diventa auratica, rovesciando cosl la formula di Klee sulla pittura, è tutto il visibile che diventa invisibile, potente, magico. Wahrol procede in un altro modo. Raddoppiando o moltiplicando la stessa immagine - di un Elvis Priesley o di una scatoletta Campbell - crea un circuito di rimando da immagine a immagine che tende a far sparire ogni referente mimetico: il reale diventa immagine. Questo movimento orizzontale di rimando è però misterioso perché la rappresentazione resiste e insiste sempre nel suo movimento verticale verso il rappresentatoreale (benché sia un movimento che si rovescia nel senso di immagine-spettatore, in quanto quest'ultimo ha parzialmente occupato il posto del referente). Si viene cosl ad aprire un altro spazio tra le immagini, uno spazio vuoto, o piuttosto, liscio dove si diffonde una sorta di «negativo» della rappresentazione: il suo doppio invisibile o il suo fantasma. 175 e

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