Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

mento più che quello dell'artista, solo così può aspirare a esprimersi in un linguaggio totale. L'autore deve apparire nell'opera come un'immagine riflessa sull'acqua, presente ma assente. Un lavoro cresce di dentro con una gestazione lentissima, di cui non possiamo prevedere la durata, per poi apparire alla luce sempre improvvisamente e sempre guidato dal caso e solo_dal caso, come un fiore dell'anima. Un'opera è una forma vivente, trepidante e delicatissima; una porta dischiusa sul buio di se stessi e le mie opere sono come gocce di rugiada appese a un filo d'erba. C'è più vita per me, più verità, più senso del tragico in uno straccio abbandonato per terra che in tutta la tragedia classica. Da una parte certa scultura greve, truce, lorda, piuttosto che plastica si potrebbe definire arte muscolare, dal1'altra certa arte così cucinata, così confezionata, così passata sotto il ferro da stiro fa pensare sempre a Cocteau: «Trop de tecnique, peu d'idées». Il miglior insegnamento in pittura l'ho avuto dalla musica di Bach e da ragazzo durante le notti lungo i canali stellati della valle del Po, dove l'acqua lenta alimentava il fuoco assoluto. Ci sono lavori che ho realizzato nel 1975-76 che ho chiamato teatri, teatri statici. Sono lavori costruiti effettivamente come piccoli teatri ma in realtà sono teatri antiteatrali. Luoghi dov'è rappresentata unicamente l'energia evocatrice del colore allo stato puro e dove i soli protagonisti sono la luce e l'ombra. Teatri del silenzio, per essere più precisi. Teatri di tele bianche dipinte unicamente dal 17

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