Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

enigmatico di un oggetto trovato. Non c'è nessuna analisi, nessuna ricerca a priori che guidi la scelta, la convivenza di immagini o di oggetti in un'opera. Non c'è nessuno schema preordinato. È sufficiente un contatto, una contaminazione, un'associazione, una scintilla tra diversi elementi ed ecco generarsi infinite relazioni, infinite ragioni prima impensabili; le forme vengono esaltate e si caricano di una vita sotterranea, di una energia, di un'anima che prima non possedevano o sembravano non possedere. Non c'è nulla di prestabilito, tutto avviene dopo, mai prima, tutto è nell'atto, nell'istante. Chi guarda è pensato come un elemento di completamento dell'opera, ed è evidente che la vita di quest'opera può essere tale solo se c'è questo rapporto che la fa vivere. Il massimo della sua espressività lo trova proprio nel rapporto con l'occhio di chi guarda. Francamente non me ne importa assolutamente niente dell'osservatore nel momento in cui il lavoro nasce, poi certamente ci sono dei conti da fare, conti che un artista deve fare innanzitutto con se stesso e con il pensiero degli altri artisti. In virtù della pura osservazione le cose diventano altre cose; le animiamo con l'intuizione e questa diviene la loro nuova forma visibile. Occorre tener sempre presente quella cosa essenziale che è la misura, cosl come è necessario saper trattenere se stessi e lasciare respiro all'opera perché questa possa mostrarsi unicamente nella sua secchezza e nella sua assolutezza e apparire in tutta la sua complessa immediatezza e semplicità, come generata dal miracolo. Diciamo che nel lavoro deve sentirsi più la mente che il fiato. L'opera deve saper comunicare il proprio senti16

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