Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

za tragica, dietro la voce distaccata e olimpica, di Stevens. Come un sacerdote dell'immaginazione4, il poeta compie un rito, oppone la sua alla messa religiosa una poesia attraversata da leit-motiven, da domande senza soluzione, da iterazioni e dalle lodi finali ad un mondo fatto di banalità quotidiana indissolubilmente intrecciate alle metafisiche regioni del nostro esistere e comprese, finalmente, nella loro pienezza vitale. Scrivere «il grande poema della terra»5: ecco la grande e costante aspirazione di Stevens. Tra le iniziali, sofisticate «complacencies of the peignoir» e queste elevate «extended wings» è racchiusa tutta la novità e l'eccentricità della poesia di Stevens rispetto ai suoi contemporanei. La forma scelta da Stevens per un siffatto argomento è del tutto aliena dagli sperimentalismi dell'epoca e fin troppo «conservatrice». Gli sperimentalismi di Stevens passano semmai per la retorica delle immagini. Del resto Stevens è sempre stato più interessato al che cosa dire piuttosto che al come dire o, per citare la frase di Lucy Beckett, di «dominare la realtà con la persistenza del pensiero» piuttosto che, come Pound, con «la persistenza del metodo»6 . La poesia non procede per accostamenti repentini, per frammenti o estreme contrapposizioni, per scarti ed ellissi, ma per luminose, graduali analogie, attraverso argomentazioni dialettiche (che si svolgono quasi in un processo di tesi, antitesi e sintesi) con una chiara ed evidente ripresa dello sviluppo discorsivo che dia vita ad una forma organica con un inizio ed una fine. Il problema dell'organizzazione del caos, dell'ordine nel caos, tema profondamente modernista, ha un esito particolare in Stevens. La sua è una volontà di ordinamento non mimetica rispetto al reale, la sua forma resiste a ciò che e81i stesso ha definito la «pressione del reale»7 ed è naturalmente rivolta alla ripresa della tradizione ereditata dal passato, capace di organizzare in un tropo retorico e sentimentale l'esperienza dell'uomo. 151

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