Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

Lo studio è come la stanza per l'oppiomane, gli oggetti cambiano dimensione, l'udito, la vista e gli altri sensi si confondono, d'un tratto sembra di essere sdraiati sul soffitto. Le immagini evocate sono fluttuanti, amnios e oceano. Nel passato c'è tutto il nostro futuro, ma tutto il legame con il passato dell'arte che si è creduto di intravedere in certi miei lavori non è mai esistito. Non c'è mai stata nessuna preoccupazione in questo senso per la storia o per il passato che del resto non chiamo passato ma memoria, una profondità questa che, nel suo procedere oltre, solo marginalmente tiene conto di filologia e storia. Un'immagine poetica non è già di per sé, nella sua purezza, una sublimazione della forma e un deposito della bellezza storica? Non è possibile che prima di stabilire un'osservazione sensibile con una statua occorra chiederle una specie di carta d'identità. Parlo della statua non a caso perché so benissimo che si tratta proprio di questa facile equivalenza: statua uguale a passato. Un volto di una statua dipinto di nero, avvolto nel nero, è un dialogo forse con l'ombra e con il tempo ma non necessariamente con il tempo al quale la statua appartiene. Una luce sul volto di una statua non parla solo della statua ma della luce. Un volto, una voce, il mistero di un segno trovato per strada, un frammento, una testa di una statua antica appartengono tutti alla medesima condizione di resti alla deriva, reliquie, brandelli di anima, ed è appunto questa loro condizione e non la loro appartenenza a un determinato tempo che mi importa. Del resto non comprendo nemmeno perché si chieda quanta importanza rivesta il passato nel lavoro di un artista, perché è vero che la presenza del passato è qualcosa che certamente è radicata forte in me, al punto che a volte sento dentro quasi più forte l'attrazione e il piacere del ricordo che il piacere stesso di vivere, ma è anche ovvio che il passato faccia parte 12

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