Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

menti mutevoli, nell'aperto del mondo, nella «libertà elementale» «fredda, pungente» della terra che lo ospita, l'uomo ha almeno questo: l'esperienza del mondo fisico. «Più grande» sarebbe la povertà, non vivesse l'uomo «in un mondo fisico». Questo soggiorno creaturale il poeta volge in canto. Così risponde Wallace Stevens alla domanda che risuona in ogni suo poema: «e perché i poeti nel tempo della povertà?». Perché, dice Stevens, sono loro, i più immaginifici, che ci indicano la realissima realtà della Terra. Ci insegnano a dire: «Ti amo, Terra!». Pound confessa alla fine dei Cantos: Ho provato a scrivere il Paradiso Non muoverti Lascia che parli il vento Questo è il Paradiso Che gli Dei perdonino Ciò che ho fatto Chi ho amato sappia perdonare Ciò che ho fatto. Confessa dunque di aver fallito rispetto al compito che si era dato.. Non ha saputo scrivere il grande poema del Paradiso. Allo stesso fallimento mesto alla fine acconsente Stevens. Solo che per lui il compito era scrivere «il grande poema della Terra», che «deve ancora essere scritto». Se lui ha provato a scrivere, è stato per questo: perché voleva dire, «poetare» la Terra. Dire, poetare il Paradiso. Dire, poetare la Terra. Se questo è il compito, non meraviglia che il poeta fallisca: ed è bene, forse, cosl. Il suo «mancare» ci aiuta, diremo ancora con Holderlin. Perché se il poeta «scrivesse» il Paradiso, solo gli angeli potrebbero intenderlo. Se «scrivesse» la Terra, solo gli animali lo intenderebbero. Poiché fallisce, noi uomini, che manchiamo della perfetta intelligenza dei primi, e del perfetto istinto dei secondi, lo intendiamo. Nadia Fusini 108

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