Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

serto stesso. Non è possibile farne conto di nulla. Sebbene non riesca ancora, al momento, a chiarirmene bene la connessione funzionale, sono tentato di rimandarmi a ciò che ha osservato Sergio Pinzi nel suo libro, Nevrosi di guerra in tempo di pace, e particolarmente agli ultimi capitoli, dove si tratta, vedi caso, di punti, strisce, macchie, ocelli... «Se nelle macchie e nei colori individuiamo il legame esistente fra l'uomo e l'animale...». Non posso che estrapolare (inurbanamente, vale a dire inscientificamente) l'enunciato di Pinzi, e lasciarlo sospeso, a lavorare, se può, dentro questo discorso che, dopotutto, ha a che fare con l'animale e con l'uomo, e con il godimento mancato. Scopro alla fine, con un po' di sorpresa, che la lettura ha fatto emergere in tale specie di amore, l'importanza dei marchi di superficie, a partire dalle due zone di annullamento che ho creduto di identificare. Questi dirò così tatuaggi, sono segni linguistici che portano a confrontarci con la questione del desiderio- umano e animale -; della identificazione sessuale; del simulacro, in quanto qui si leghi al sesso; ma anche con l'opposizione potenza/onnipotenza (come osservava un intelligente aforisma di Cesare Viviani, la prima qualifica l'animale, la seconda l'illusione, o il sogno, dell'uomo). Sono elementi dei quali possiamo forse affermare che non organizzano appena gli effetti di un racconto, ma la struttura di una situazione. Dal disotto Nel cartiglio d'ingresso avevo aggiunto qualcosa al titolo del racconto: «un amore meno che umano». Perché «meno che umano?» Non di certo per disgradare un rapporto che collega un uomo e una bestia, ma per significare qualcosa che vi avvertivo come essenziale: di 20

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