stra), il suono stabile e canoro A («ex vocalibus vocalissimum»11 ) che indica il triangolo (la squadra a sinistra, ma soprattutto il triangolo centrale invisibile che si instaura tra lo sguardo della donna, il triangolo e lo specchio). Egualmente triadica, ma con una serie circolare, che ritorna su se stessa, è la configurazione vocalica del LATEBAT: tra i due triangoli delle A è il suono della E, su cui cade l'accento del motto: la E, lettera gravida di connotazioni sapienziali (si pensi al De E apud Delphos di Plutarco, non casualmente testo caro a Pico, uno degli esponenti rinascimentali della «religione dei geroglifici», dalle cui implicazioni cabbalistico-esoteriche pure Vico si discosta}, con la sua figura a tripode (dictum ex tripode è appunto il detto dell'oracolo) rappresenta la congiunzione tra il triangolo visibile e il triangolo riflesso, ossia la scienza come figura che li media e ne consente la traducibilità, subentrando solo nella misura in cui prima €ra nascosta e implicita. Ma questa congiunzione, che è altresì, come vedremo, congiunzione delle tre figure geometriche - triangolo, quadrato, cerchio - su cui si articola la Scienza nuova, può aver luogo solo in quanto accenta il «latebat», in quanto cioè sottolinea l'oscurità in cui la scienza affonda le radici. La scienza nuova deve infatti fondarsi per Vico nella densità figurale del mito, versus Descartes e Locke, che pretendono di fondare la ragione analiticamente, prescindendo dal radicale della fantasia e della sapienza poetica. Questa implicazione non consente di procedere, come l'intelletto, facendo luce nell'oscurità e perdendo così di vista lo sfondo, ma esige, metafisicamente, di proiettare eroicamente lo sguardo nella luce divina per cogliere la compresenza, l'inveramento dei linguaggi. Come suggerisce il motto, la scienza nuova si fa così luce dal massimo addensamento di oscurità, da una sorta di esponenziazione dell'occultamento (le tenebre dell'ignoranza, il limbo della latenza). 142
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