Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

to di impresistica e di un pronunciato «senso araldico»2, riteneva quest'impresa depositaria del senso della sua opera, insieme a quella «dipintura», la tavola allegorica più nota e straordinariamente complessa cui è dedicato l'ampio prologo della Scienza nuova, preposta al frontespizio della seconda edizione del 1730 e che precede in antiporta l'impresa nell'edizione del 1744. Nella dipintura, la donna con le tempie alate contempla «in atto estatico», dantescamente «sospesa e vaga», su una sfera in bilico sopra un altare, il sole dell'occhio divino posto in alto a sinistra, inscritto in un triangolo a sua volta inscritto in un cerchio: il suo raggio di luce la investe all'altezza del petto, dove un gioiello convesso riverbera l'onda luminosa sulla statua di Omero, nume tutelare di un ampio corredo di oggetti simbolici: la tavola degli alfabeti, la panoplia di geroglifici ed emblemi. La scena, gremita all'inverosimile, è imbevuta di tenebra e dei chiaroscuri di una radura. La sua disseminazione figurale, la bulimia barocca dell'accumulo che ne determina la «capricciosa acconcezza»3, è sostituita nell'impresa da una visualizzazione non meno arcana, ma essenziale. Tanto la dipintura ha ricevuto analisi, a partire da Vico stesso, quanto l'impresa è passata per lunghissimo tempo sotto silenzio, attraversando una latenza in curiosa armonia col motto che la fregia4 • Eppure Vico sembra averle affidato una funzione simbolica estrema, una riposta crucialità che la rende ben lontana da un mero ornamento o da un reperto erudito. 2. L'impresa, forma particolare di emblema, coniuga messaggio verbale e messaggio iconico, in un nodo di parola e immagine. Se il geroglifico è per Vico una lingua completamente muta («mutola», dice Vico), inarticolata, che si affida unicamente ad immagini, l'impresa introduce invece una lingua mista, una sorta di formazione di compromesso, in cui si fondono visualità e scrittura. Il lin136

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