Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

la forza delle umane parole» (I, I). Non quindi, come pure sembrava volesse sostenere nelle righe che precedono, un mero strumento tecnico per comunicare, informare, narrare, e soprattutto richiedere, quanto una modalità specifica per penetrare negli animi altrui, e «commuoverli». Poiché infatti- sottolinea il Bembo- gli uomini, «che liberi sono», non reagiscono al linguaggio passivamente, automaticamente, come farebb� una macchina, ma lo vagliano razionalmente ed emotivamente e sulla base di questa valutazione rispondono, e, all'occorrenza, agiscono, in un modo e nell'altro: al limite, secondo il desiderio di chi loro la parola rivolge, o al di fuori, o addirittura a contrasto, di esso. E appunto per essere davvero intesi, e toccare l'animo altrui, indispensabile appare che l'uso linguistico abbia un fondamento comune e consolidato; il che non avviene nel linguaggio parlato, e tanto meno in quello scritto, ove una lingua non sia stata elaborata, levigata, polita attraverso l'uso di grandi artieri del linguaggio, di grandi scrittori. Era il caso, questo, nell'Italia di allora, della «lingua fiorentina», con il suo Cino, il suo Dante, il suo Petrarca, il suo Boccaccio, secondo l'esemplificazione del Bembo. E coloro che non sapessero «ragionar toscanamente» senza legge alcuna scrivono, senza avertimento, e comunque gli porta la folle e vana licenza, che essi da sé s'hanno presa, così ne vanno ogni voce di qualunque popolo, ogni modo sciocco, ogni stemperata maniera di dire n' loro ragionamenti portando, e in essi affermando che così si dee fare (I, XIV). Così, nel dialogo, Giuliano de' Medici, aprendo la strada a CarloBembo, portaparola del fratelloPietro, non tanto e non solo per giustificare la scelta del toscano nella 103

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