Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

to, ove si mescolavano uomini in larga parte provenienti da un uso dialettale, mentre l'italiano, più che far parte di una radicata «koiné», suscettibile, pertanto, di trasformazioni e tensioni gergali, rappresentava solo una lingua «di servizio», povera di vocabolario e di espressività. Ma forse, ancor più, si potrebbe pensare alla carenza di una tradizione «democratica», di una autocoscienza «culturale» dei singoli; quale invece, venti e più anni dopo, emergerà nelle innovazioni linguistiche e nel frasario «basso» del '68, a ventanni e più dalla «liberazione». Non stupisce perciò se gli esempi di linguaggio basso - ma, nello specifico, caratterizzato, più che dal brillio protestatario dell'osceno, dalla mera volgarità, si riscontrasse piuttosto tra i propagandisti ufficiali del Regime, primo fra tutti quel Mario Appellius che non si peritava, credendo di accedere al sarcasmo, di sottolineare, nelle sue quotidiane trasmissioni radiofoniche, una sillaba «allusiva» del nome del Presidente americano: Franklin Delano Roosevelt. Nel libro di Fussell un capitolo è dedicato all'insorgere delle «voci» in tempo di guerra, e al loro circolare e diffondersi. Quando si preparava, nell'Italia del 1935, l'invasione dell'Etiopia, veniva ampiamente ripetuto, come fosse indiscussa verità, il seguente aneddoto: A Vercelli (la localizzazione è un'altra notazione di Fussell sul modo di articolarsi delle «voci»); a Vercelli, dunque, un gerarca fascista avrebbe tenuto un discorso di propaganda, il cui clou era stato la frase: «Armiamoci, e partite. Alle vostre mogli e alle vostre sorelle penseremo noi!». Una «voce», o un aneddoto, che dice molte cose: il reale rapporto (e non solo nel fascismo) tra governanti e governati nel nostro Paese, il sotteso maschilismo conquistatorio, l'ironia rassegnata delle «masse» dei senza potere. Mario Spinella 187

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