Il piccolo Hans - anno XVII - n. 67 - autunno 1990

nel farlo aveva più successo di quanto ne avrebbe mai avuto in seguito, come medico, nella sua pratica coi pazienti. Come egli stesso scrive: «Persi più tardi quella fiducia assoluta in me stesso, che solo l'ignoranza può dare». Io penso che la fiducia assoluta di cui egli parla si fondasse non solo sull'ignoranza, ma anche sull'ammirazione che il padre dimostrava per le prodezze del figlio. Come Balint (1970) fa notare, infatti, Ferenczi idealizzava suo padre. Il secondo e più diretto riferimento lo troviamo nello scritto Psicoanalisi e criminologia (1928), nel quale egli analizza l'episodio dell'incendio nel gabinetto. Ne parla dapprima in terza persona, come fosse un fatto occorso a uno dei suoi pazienti, ma alla fine confessa ironicamente che il colpevole era stato lui stesso. Vorrei citare per esteso la sua autoanalisi: Nel corso dell'analisi... la riproduzione del fatto seguente gli fece un'impressione profonda: il giorno successivo alla morte del padre - aveva allora 15 anni - non resistette alla tentazione di impossessarsi di una boccettina di etere usata per rianimare il padre morente - un padre che egli adorava - e di rinchiudersi con questa boccettina in un 1uogo appartato per dar fuoco all'etere rischiando in tal modo di provocare un incendio. Egli era perfettamente consapevole del fatto di compiere un atto blasfemo e illecito... La reazione fu il pentimento e il voto di mantenere viva la memoria del padre pensando a lui almeno una volta al giorno per tutta la vita. Ferenczi conclude usando la prima persona: «... in circostanze sfavorevoli si sarebbe potuto sviluppare facilmente un incendiario blasfemo. Il destino benevolo si è contentato di farmi diventare uno psicoanalista» (S. Ferenczi, Fondamenti di psicoanalisi, Rimini, Guaraldi, 1974, p. 320). 166

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==