Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

dietro, senza possibilità di dialogo e di patteggiamento, senza, per star con Bruno, che il monte Cicala parli con il Vesuvio**, verso il colore, le macchie, le gradazioni di un awicinamento senza difese al godimento del padre. Sono i residui darwiniani, le colorazioni animali, forme che spingono verso l'abbagliante sole paterno, o verso la figura del padre primordiale, a introdurre nascostamente, come l'impercettibile gatto fulvo di Bonnard, l'animale totemico, o il nostro luogo della fobia. Allora, invece che scandito dal disegno preciso del Dazio con la sua barriera scavalcata dalla fantasia là dove non c'è porta, invece del ritmico suono, terrorizzante ma già contenuto, dello zoccolo del cavallo, il gatto è il fulvo, e come il Dazio aveva introdotto Hans alla tecnica dell'idraulico, da cui iniziare le sue costruzioni di difesa, il fulvo porta in primo piano il bianco del termosifone, una tecnica senza gestore, e la velatura grigia che è scesa da un po' di tempo su tutti i colori del mio mondo, può essere la forma della nuvola, o il battito che sbava gli acquerelli che Van Gogh espone alla pioggia. C'è un segreto nella forma. Quando racconto al mio amico i piccoli fatti della mia infanzia, sempre gli stessi, è come se componessi altrove uno spazio silenzioso per forme mutevoli. Tutto ciò che dico, i piccoli segreti sempre più confidati, sfumano i bordi bianchi e violetti del segreto che nell'interno bruno della vasca fa appena percepire il corpo disteso. Così i dialoghi, come i carteggi, quanto più sono serrati, quanto più escludono divagazioni e descrizioni, hanno fatto di Emma o di Persuasione di J ane Austin o di Middlemarch di George Eliot i capolavori del malinteso, dell'inganno e del!'intenzione. La descrizione sopraffatta dagli scambi verbali svela la propria pochezza: che cosa importa se è "brutto" Casaubon se la Dorothea di Middlemarch ne intuisce e ne difende con tutti la grandezza morale e intellettuale? 6

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