Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

di Kant, la sua «crisi kantiana», a Wilhelmine la crisi viene narrata più nel dettaglio, e con l'ausilio di un esperimento mentale15 che ricorda la serie infinita di questioni, di metafore a chiave che Heinrich soleva sottoporle; ad Ulrike, Heinrich insiste invece sulla diffidenza verso le risorse del linguaggio, in cui vede riflesso il senso lancinante di smarrimento che origina l'impulso a viaggiare. Le lettere ad Ulrike non sono lettere a chiave. Dove chiave sembra esservi, è una chiave che per eccellenza resta preclusa a Kleist stesso. A Wilhelmine, con premuroso sadismo decifratorio, Heinrich si dilettava di donare sciarade. A Ulrike il dono di quei versi è, per certi aspetti, non dissimile da un autoritratto. Il rimprovero di non essere uomo a tutti gli effetti era infatti già rivolto da Heinrich a se stesso, al suo stato di perenne minor età, alla sua cronica dipendenza finanziaria; e, più ripostamente, ad un'ambivalenza sessuale di cui non venne mai a capo. Il rapporto tra Ulrike e Heinrich somiglia in certe circostanze a quello dei due colombi della favola di La Fontaine, che Kleist riscrive. Lei cerca di convincerlo - invano - dell'inutilità di viaggiare, come lui aveva fatto giovanissimo richiamandola ai ruoli tradizionali di moglie e madre. Il viaggio, dal canto suo, viene sempre più smarrendo fini di formazione e ritorcendosi su se stesso, in una dilazione senza fine. Ulrike assiste impotente, per quanto si adoperi, a questo naufragio della Bildung, al disfarsi di quel «piano di vita» sorretto sin dall'inizio dalla metafora augurale del viaggio, mentre Heinrich riesce a trarre dal suo fallimento le spasmodiche energie del suo lavoro letterario: il rogo del Guiscardo illumina e alimenta, come una spietata fornace che distilla e purifica, la divorante intensità della sua ansia di perfezione. 3. Ben presto, ad Ulrike, Kleist confida la propria inettitudine alla vita sociale, un senso di sproporzione tra l'ap49

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