Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

importa se l'intesa è puramente immaginaria (cinicamente paradossale ma possibile quella che si tenta con la domanda: così dunque si ama?): intanto il desiderio si accende - fors'anche si disvia - in altri progetti, in altre possibilità, che proprio la partecipazione dell'altro, sollecitata con le interruzioni, i silenzi improvvisi, le iterazioni nel riprendere - «dunque... dunque... e che mai?... che dico?... e voi credete?...» -, sembra autorizzare: «non potrei? e non sarebbe meglio tentare?». Non c'è dubbio, lo scambio epistolare, più che la conversazione, fa emergere la doppiezza, anche nei soggetti più sinceri. Nei suoi tempi distinti e pausati, nel raccoglimento (di norma in luoghi appartati, in un'aria di segreto) che impone alla formazione del messaggio e alla ricezione, non solo favorisce la «vertu raisonneuse» delle donne insidiate, come dice la Merteuil, ma induce anche il meno intenzionato degli interlocutori alla premeditazione. Si potrebbe dire che la congenita ambiguità dell'enunciazione si è come disviluppata e ha investito con la sua morfologia tempi, luoghi e azioni, che un carattere del linguaggio è diventato, esso stesso, un soggetto della rappresentazione. Ecco un altro saggio del suo ruolo: il cavaliere Danceny, che è entrato in amicizia con la signora di Merteuil, e la frequenta per parlarle dell'amore che porta a Cécile Volanges e farsi guidare dai suoi consigli, trova in una momentanea lontananza dell'amica e in una lettera che le invia l'occasione (e tutti i vantaggi dell'aria di segreto e della premeditazione) per convertire la docile confidenza in un'accorta forma di seduzione. Con una doppiezza che sembra quasi implicata nella scrittura, proprio nel ripetere qui quanto ami Cécile si dichiara all'altra: Provo tanto piacere nell'aprirvi il mio cuore, nell'occupare il vostro con i miei sentimenti, nel deporveli senza riserve! Mi pare che mi siano più cari a mano a mano che vi degnate di acco37

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