Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

la psicosi conclamata e le scorribande notturne che ne scandiscono l'inizio; è questa la fase in cui il rapporto con i genitori, con la madre in particolare, perde progressivamente ogni felice e un tempo apparentemente invulnerabile consuetudine; i pasti non vengono più consumati assieme e non è più possibile condividere uno spazio se non per il tempo necessario al paziente per allontanarsene bruscamente; la parola è abolita e in suo luogo è con il pestare del tacco della scarpa sul pavimento che il figlio comunica con la madre, avvalendosi della particolare disposizione della sua camera posta al piano superiore in corrispondenza della cucina; e a seconda del numero di colpi trasmesso, alla madre è assegnato un compito di volta in volta particolare. Un reticolo fobico sembra dunque sconvolgere i ritmi e gli spazi della abituale vita domestica e su uno stampo parimenti fobico sembra essersi costituito il nuovo alfabeto che ora presiede alle comunicazioni della famiglia; anche in questo caso, dunque, una fobia che tuttavia qui prelude a e prepara un grave ritiro autistico. Ma prima di giungervi c'è qualcosa che sarebbe utile chiedersi ed è che, se come avvenne nel caso del piccolo Hans, il sognatore fosse stato impegnato ancora in questa fase in un lavoro psicoterapeutico, forse si sarebbe potuto arrestare o deviare il decorso da quello che ora appare come un'inevitabile china psicotica. Il dispositivo fobico sembra infatti costituirsi come l'estremo tentativo operato dal giovane di proteggere la sua identità a partire dalle proprie relazioni familiari, prima del dissolvimento degli equilibri e dei compromessi faticosamente costruiti su un fragile superamento edipico e prima che gli spazi in precedenza aperti a spese della sessualità pregenitale non apparissero altro che i luoghi di un intollerabile quanto temporaneo esilio. Qualche anno prima di occuparsi del caso del piccolo 179

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