Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

glio superabile soltanto se noi accettiamo senz'altro il nostro essere moderni e perciò rinunciamo alla comprensibilità originaria dell'opera e ci sentiamo autorizzati a parlare dei significati che ha l'opera per noi; però, come storici - se siamo storici, se abbiamo una volontà storica - ci resta quasi sempre questa nostalgia, questo afflato verso una comprensibilità originaria che vorremmo, in qualche modo, recuperare. CONSONNI. A proposito delle due modalità di approccio che indicavi, vorrei riprendere alcune considerazioni che Jurij Lotman ha fatto in un saggio su Pietroburgo che mi ha molto affascinato e aperto ad alcuni ragionamenti. Pietroburgo nel suo nascere come città ideale- sostiene Lotman- è una città morta; essa comincia a vivere da un certo momento in poi, quando si manifestano contraddizioni e diversità. È l'instaurarsi di un nuovo osservatorio, quello dei quartieri proletari, a immettere Pietroburgo nella vita complessa del senso. L'osservazione di Lotman apre una prospettiva interpretativa circa l'architettura in senso lato. Quanto si è verificato a Pietroburgo nei primi decenni della sua esistenza accade a quelle opere di architettura che non stabiliscono un rapporto con la vita perché incapaci di istituire un rapporto dialogico con l'intorno. È quanto si riscontra di frequente nell'architettura neoclassica-come anche in quella dei suoi attuali proseliti-, la quale raggiunge livelli eccelsi solo quando interloquisce con la complessità d'intorno, la complessità, ad esempio, dell'architettura del giardino - si pensi al rapporto di simbiosi tra giardino all'inglese e le costruzioni neoclassiche - o della città storica. Private invece di questo rapporto, molte di quelle architetture scadono alla condizione di oggetti perdendo capacità espressiva. Qui emerge ancora una volta una differenza di fondo fra il testo letterario e il «testo» materiale di una città o di un paesaggio. Diversamente dal primo, 169

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