Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

spazio costruito. Natura e architettura devono invece tornare ad incontrarsi. SEGRE. Hai toccato vari punti. Vorrei in questo momento soffermarmi su uno che mi pare che sia istitutivo, e cioè il problema del tempo. Abbiamo visto che il restauro ottocentesco consisteva nel ripercorrere a ritroso il tempo arrivando fino a un momento considerato ideale. Tu guardi piuttosto al presente, e naturalmente, in forma implicita, al futuro, perché qualunque progetto si faccia, esso riguarda coloro che lo avranno davanti o ci vivranno all'interno. Tra tutte queste possibilità riemerge l'elemento durata. Le addizioni che il tempo ha portato all'opera si pongono sulla linea della durata, ma c'è da domandarsi se non siano la condizione stessa della durata (a questo accenna anche Brandi nel suo trattato di restauro), cioè, l'opera può vivere soltanto trasformandosi. Allora, a un certo punto il restauro ci pone di fronte a un'antinomia che merita di essere approfondita: l'antinomia tra, da un lato, la ricerca della fissità, del definitivo, l'impegno ad arrivare a un modello incarnato che una volta incarnato deve restare quello che era e non può più muoversi; e dal1'altro, questo senso della tradizione (la parola stessa tradizione lo dice), che è cambiamento dell'opera perché si trova immersa nella vita degli uomini, ma che è anche trasformazione dell'opera perché attraverso il tempo assume funzioni diverse, viene vista in modo diverso. Quando noi andiamo a visitare una chiesa o un monumento, lo vediamo con occhi assolutamente cambiati rispetto a chi lo guardava quando è stato costruito, perché noi lo vediamo già monumentalizzato, e magari prescindendo dalle sue funzioni originarie, sacrali o pratiche, mentre quella chiesa o quel palazzo sono stati costruiti con funzioni molto precise. Perciò il cambiamento dell'occhio che guarda il prodotto artistico porta anche a un cambiamen165

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