Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

Come ha sottolineato Hegel, nella spazialità del tempio greco la trasparenza e la permeabilità all'andirivieni della gente e alle relazioni interpersonali è più importante che non il suo costituirsi come spazio protetto atto ad accogliere la comunità. È per confronto con questa concezione dello spazio che possiamo meglio capire i caratteri e il senso dello spazio della città medievale. La città dell'occidente europeo nell'Alto Medioevo assume il carattere di una rifondazione dell'umanizzazione in un paesaggio dominato dal disfacimento dell'immane opera costruttiva lasciata dall'impero romano (lo scenario è quello ben descritto da Vito Fumagalli nel volume Lapietra viva, apparso di recente). L'uomo dunque riprende la sua attività costruttiva in una condizione mutata. L'intorno appare ostile, non è più un insieme unitario entro cui egli abita la totalità. Per questo lo spazio medievale ruota attorno ad un archetipo che è lo spazio ritagliato e protetto, un microcosmo attraverso il quale si cerca di ristabilire un rapporto ideale e simbolico con il macrocosmo. In questo, il rito del mundus, il solco che nel mondo romano si tracciava nell'atto di fondare una città, fa certamente da tramite. Nel Medioevo diverse rappresentazioni figurate della città -è il caso ad esempio della carta di Milano allegata alla «Cronica extravagans» di Galvano Fiamma - richiamano la concezione della città come mundus, microcosmo idealizzato. Nella carta trecentesca appena citata, le mura di Milano sono raffigurate come un cerchio perfetto al cui centro è collocato il quadrato della Piazza del Broletto, a sua volta uno spazio racchiuso, un microcosmo in cui è simbolicamente riassunta l'intera città. Quella piazza era vissuta come il luogo per eccellenza della vita comunitas ria, un luogo concepito appunto come difesa dal mondo ostile e in stretta relazione ideale con il macrocosmo. 158

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