Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

verso continue manomissioni; eppure ci sembra oggi che in quegli spazi non si possa toccare niente, allo stesso modo come riteniamo inammissibile-per usare una espressione di Carlo Cattaneo - svellere una sillaba da una parola o una corda da un cembalo. Questo nostro atteggiamento deriva da una caduta di sensibilità verso lo spazio e dal fatto che l'attività costruttiva non si pone più come fine unitario quello di rendere abitabili e ospitali i luoghi. Poiché l'attività costruttiva non risponde al sentimento dell'abitare e non si pone come obiettivo prioritario quello di ridurre l'estraneità del mondo, l'intervento sulla realtà fisica manca di riferimenti guida e di misure atte a stabilire affinità tra quella realtà e il sentire individuale e collettivo. Per questa ragione il nostro concetto di ordine tende sempre più ad ancorarsi a riferimenti puramente geometrici e ignora l'ordine che nasce dalla disponibilità dialogica. Un ordine di natura dialogica si basa sulla interazione e la cooperazione delle parti. Quando è questo modo di intendere l'ordine a strutturare la realtà materiale, allora i luoghi fisici divengono una rappresentazione di un modo di stare al mondo aperto ai rapporti umani e allo stupore del vivere. È la scarsa disponibilità alla socialità e alla interrogazione a impedirci di trovare regole collettivamente condivise nell'operare sui contesti storici. Se il rigore filologico è a questo riguardo indispensabile, non è tuttavia sufficiente a ristabilire la sensibilità circa l'organizzazione materiale dello spazio che oltre a recuperare i singoli manufatti sappia reimmetterli nella vita. Il restauro dell'oggetto in sé rischia infatti spesso di configurarsi come un'opera di musealizzazione. Questo si verifica quando le città storiche sono concepite come mere sommatorie di oggetti architettonici e gli interventi non puntano anche sul recupero della funzione e del senso degli spazi aperti, vale a dire dell'humus che lega tra 156

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