violenti sul testo, a ritocchi eccessivi, e soprattutto a ricostruzioni. Secondo i dizionari «restauro» significherebbe restituzione di un edificio, di un monumento, di una pittura, ecc., allo stato primitivo. Questo implica un atteggiamento abbastanza complesso verso la storia e un omaggio alla storia, all'indagine sui tratti originari del manufatto da restaurare, o meglio un omaggio a un passato di cui si cercano le tracce. Ma questa storia à rebours significa pure l'ideale o anche materiale cancellazione della storia intercorsa tra le talora non ben definibili origini e l'oggi. È proprio su questo punto che i princìpi del restauro sono mutati, anzi negli ultimi decenni si sono capovolti. Ma io penso che sia utile partire proprio dal restauro ottocentesco, dal restauro romantico, perché portava agli estremi le sue contraddizioni e perciò ci aiuta meglio a riflettere sul concetto stesso di restauro. In sostanza il restauro ottocentesco pone delle antinomie che il restauro moderno ha parzialmente, ma solo parzialmente, superato. Resta per esempio indubbio che in ogni operazione di restauro si mette in atto il vagheggiamento di una supposta perfezione originaria e una censura verso gli apporti dei tempi e degli uomini che ci hanno trasmesso l'opera, naturalmente mettendoci le mani. Nel restauro ottocentesco era forte, per esempio, l'idealizzazione romantica del Medioevo, da cui la sopravvalutazione del romanico rispetto al gotico, del romanico e del gotico rispetto al rinascimento e al barocco, e così via. Certo occorre riflettere sulle due attività fondamentali del restauro: il levare e il mettere. Nel levare il restauratore si impegnava a distaccare sì le patine aggiunte impropriamente da successivi rifacitori o le patine del tempo, le patine del fumo depositatosi sugli affreschi e così via, ma spesso si impegnava anche a distruggere sovrapposizioni all'opera partendo da un giudizio a priori di inferiorità sulle sovrapposizioni rispetto a quanto sottostava: ebbene questo a priori è 153
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