Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

collezione - dedicata alla madre - non mi risultano spiegabili da ragioni particolari, quando non si tratti neppure della scarsa significatività del contenuto. Lo affermo basandomi soprattutto sul confronto tra l'edizione delle circa centotrenta Letters of William James and Théodore Flournoy, a cura di Robert C. Le Clair (The University of Wisconsin Press, 1966), di cui qui parlerò, e i quindici pezzi di quel carteggio inseriti nella raccolta del 1920. A William, his son Henry James detto Harry non rese un buon servizio; perché ne appiattì la personalità affascinante, consapevole delle proprie irresolutezze e contraddizioni. Nel dirlo, mi accorgo di covare il sospetto di una delusione. Che William abbia troppo ragionevolmente amministrato la sua intimità di corrispondente (almeno a partire dalla previsione che le sue carte sarebbero divenute oggetto di curiosità pubblica). Stupisce e inquieta, per esempio, che di Henry non raccontasse nulla, né dei suoi romanzi né dei loro incontri all'estero; quando la sorella morì, dopo aver a lungo penosamente desiderato la morte, «l'unica soluzione per lei del problema pratico di vivere» (gli scriveva Henry), neppure di questa pena accennò all'amico Flournoy. Non gli confidò niente; come mai? Per ritegno, per rigidità? Eppure l'altro gli scrisse dei suoi lutti, dolorosissimi, una figlia ventenne, il suocero, la moglie, la tragica fine del cognato medico assassinato da un paziente. Ho il timore di scoprire che la colpa del figlio, di aver sminuito in ricchezza e complessità le lettere paterne, sia dunque minore di quanto io inclini ad attribuirgli. Perché evidentemente mi aspetto che il legame epistolare di William James con una persona a lui cara, nella testa e nel cuore, fosse aperto e intenso. Me lo immagino così per quanto conosco di lui attraverso i libri, i suoi pensieri sulla vita, sulla sofferenza, sul bisogno di credere e la difficoltà di riuscirci; per l'idea che mi sono 126

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