Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

1. Sul sublime come fondamento in Dante Ma il dire che portavo l'immagine con me già da prima, era soltanto una spiegazione causale dell'impressione che ho in questo momento. È come se si dicesse: questo movimento mi riesce così facile come se mi ci fossi esercitato. (L. Wittgenstein, Zettel, 210) La sublimità, nel Paradiso dantesco, non è un tema, ma una funzione: è stato notato come sulla figura sublime di Maria vertano due grandi questioni di determinazione filosofica, le macchie lunari1 e le gerarchie celesti2 , risolte da Dante come questioni di rappresentabilità linguistica e insieme di dinamica luminosa3, con la scoperta di Maria come istanza in cui la lingua come fine si stampa in lingua come forma, o come una vetrata che rende visibile la luce e possibile il pensiero4 • Punto in cui «si terminano» i «discorsi» della luce e della grammatica5 , essa è sede di ogni rappresentabilità: come allegoria nascosta nelle allegorie della Scrittura aveva anticipato la chiarezza6 dei profeti, superandoli con un'evidenza fuori del tempo e della narrazione7; le si addice una serie infinita di qualità8. Tuttavia non è l'indeterminato, poiché non sussume i contenuti delle similitudini9, ma ne orienta la forma dinamica (il ritrovare il noto nell'ignoto), ponendosi quindi piuttosto come sede di ogni ritrovamento determinato10• Con un'immagine «orientale» (di Ibn 'Arabi)11, sulla linea della coincidenza luce/lingua, essa è l'illuminazione che procede come l'inchiostro universale, la cui unicità è visi93

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