nei quali il giovane paziente ha difficoltà nel mantenere una continuità, ho sempre ritenuto che tre o quattro ore alla settimana, se l'analisi è protratta abbastanza a lungo, possono condurre a risultati soddisfacenti. È di enorme importanza, secondo me, il rispetto rigoroso dell'orario. Vi è implicito un processo di auto-educazione che un giovane deve intraprendere. A volte occorre un forte controllo per rifiutare certe importanti comunicazioni che il bambino ha trattenuto fino alla fine dell'ora, ma cedere a pressioni di questo genere significherebbe concedere al . paziente di «prendere il sopravvento». Mentre l'analisi educativa dei bambini in età più matura (diciamo dai 14 ai 18 anni) assomiglia di più a quella dell'adulto - in quanto sin dai primi colloqui possiamo parlare dei fattori del trattamento, della traslazione negativa e positiva, delle resistenze, e del significato delle tendenze psichiche inconscie nella globalità della nostra esperienza- l'analisi del bambino più piccolo o del bambino ritardato procede fin dall'inizio su linee diverse. Ritengo che non sia consigliabile venire dall'analista per il colloquio preliminare di consultazione portando con sé il piccolo paziente. Mentre aspetta in un'altra stanza che i genitori abbiano concluso il colloquio, il bambino si sente messo in piazza e umiliato, e questo suscita in lui eccitazione, forse anche angoscia, risentimento, sfida, vergogna, tutti sentimenti che mettono in pericolo il futuro trattamento, o che perlomeno rendono molto più difficoltoso l'inizio. Se si deve vincere una resistenza prima ancora di avere l'occasione per gettare il ponte della reciproca comprensione, ci si trova per così dire a dover affrontare un compito analogo a quello di chi deve sgomberare una massa di detriti ammassati sul lato opposto di un'enorme voragine. Il priIJ!o· incontro dell'analista con il piccolo paziente dovrebbe avvenire nella casa di quest'ultimo, e la stessa cosa dovrebbe avvenire per tutta la durata del trattamen200
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