Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

rò paziente e analista·si stanno semplicemente divertendo, colludendo in una analisi posta su di un registro psiconevrotico, quando in realtà la malattia è di natura psicotica. Paziente e analista sono spesso soddisfatti di ciò che, insieme, hanno costruito: valido, ingegnoso, comodo, ma in virtù della loro collusione! Ed è per questo che ogni, per così dire, progresso finisce in rovina. Ad un certo punto il paziente pone fine a questa situazione e dice «E allora?». Il progresso non era da considerarsi progresso. Si trattava di un ulteriore esempio dell'analista accondiscendente verso il tentativo del paziente di rimandare la questione principale. E nessuno potrebbe farne colpa né al paziente né all'analista (sempre che naturalmente non si tratti di un analista che, potremmo dire, stanca il pesce psicotico con una lunghissima coda nevrotica sperando, con ciò, di evitare la cattura finale confidando in qualsivoglia scherzo del destino, sia esso la morte di uno dei due o il venir meno delle possibilità economiche). Dobbiamo ritenere che sia il paziente sia l'analista desiderino veramente che l'analisi abbia un termine ma, ahimè, nessuna fine è possibile se non si sia prima toccato il fondo, se la cosa temuta non sia stata sperimentata. In effetti, una via d'uscita per il paziente è di avere un crollo (fisico o mentale) e la cosa può funzionare benissimo. Tuttavia tale soluzione non è buona abbastanza se non è comprensiva di un lavoro analitico, da parte del paziente, di intelligenza e approfondimento e, invero, molti pazienti cui mi riferisco sono persone di valore che non possono permettersi di crollare nel senso di un ricovero in ospedale psichiatrico. Il fine di questo lavoro è attrarre l'attenzione nella direzione che il crollo sia già avvenuto sul limitare della vita del soggetto. Il paziente avverte la necessità di "ricordarlo" ma non è possibile ricordare qualcosa che ancora non sia accaduta, e questa cosa del passato non è ancora acca134

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