Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

Il progetto euforico 1. Si è instaurata, per quanto riguarda la mania, una di quelle tradizioni e consuetudini, che nella ricerca scientifica talora avvengono: la cristallizzazione di una teoria. Domina incontrastata, nella teoria psicoanalitica della mania, il modello dellamania come difesa dallamelanconia, come difesa regressiva dalla perdita oggettuale, tramite la negazione ed il trionfalismo onnipotente. In questo senso, si potrebbe dire che Abraham, nella prima sintesi psicoanalitica della Manische-Depressive Irresein, non abbia compreso la mania, se non nei termini generali «che entrambe le fasi sono dominate dagli stessi - pertanto non contrapposti - complessi». Sembra di capire che egli si riferisca ad un flottare di pulsioni, quando la rimozione non può più far fronte. Molto lontano, dunque, dal punto centrale classico, la negazione, anche se, citando Faust come esemplificazione della situazione maniacale, Abraham dimostra di avere, almeno preconsciamente, compreso. Quale, infatti, migliore negazione di Faust? Chi può rivolere indietro la giovinezza? Dunque, si potrebbe dire, anche per Abraham la mania può considerarsi il ritorno negatorio all'onnipotenza infantile, e non, come sosteneva, un'ampia restaurazione di libertà infantili. Ma per lui questa è una situazione vantaggiosa non tanto perché nega la perdita, ma perché consegue il piacere collegato al risparmio di lavoro e all'eliminazione delle sensazioni e delle rappresentazioni di insufficienza. Il «Whistling in the greveyard», il suo presentarsi come sostituto di suicidio, la paradossale intrinseca tristizia, non sono da Abraham riconosciuti: «I gradi più alti della mania assomigliano - egli dice - a una ebbrezza di libertà. La componente pulsionale sadica è liberata dalle sue catene». 202

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